Negli ultimi anni, nel cercare le cause di una delle peggiori crisi economiche di sempre, molti le hanno individuate nell’euro. Da allora, economisti e politici si sono divisi in pro e contro. Vediamo insieme come è nata questa moneta, quali sono i suoi problemi e se è possibile tornare alle vecchie divise nazionali.

L’euro nasce nel 1992 con il trattato di Maastricht, che stabilisce alcuni parametri che i paesi della cosiddetta eurozona avrebbero dovuto rispettare, tra cui il famigerato rapporto deficit/Pil al 3%. L’euro entra in vigore come valuta virtuale, ossia solo per i pagamenti elettronici, il 1° gennaio 1999. Da quel momento viene fissato il tasso di cambio con la lira: 1 euro sarebbe stato pari a 1936,27 lire. Dal capodanno del 2002, le monete e le banconote vere e proprie entrano in circolazione insieme alle lire. Questa convivenza non dura molto: dal marzo 2002 l’euro è l’unica moneta che può essere usata.
Inizialmente i paesi ad aderire all’euro sono 11 dei 15 membri dell’Unione Europea. Oggi sono saliti a 18 su 28.
A stampare la cartamoneta e a gestire il tasso ufficiale di sconto dell’euro è la Banca Centrale Europea, attualmente guidata dall’italiano Mario Draghi.

Vediamo ora quali sono i vantaggi e gli svantaggi, i pregi e i difetti dell’euro.
La principale ragione per cui l’euro è stato creato è che avrebbe permesso una maggiore integrazione europea.
Ma se è davvero tra le ragioni della crisi economica, ha anche favorito l’euroscetticismo che oggi dilaga.
L’euro ha permesso di creare un’alternativa al dollaro nel commercio internazionale, togliendo alla moneta americana il potere di fare il bello e il cattivo tempo sul mercato mondiale.
Inoltre, l’euro ha permesso di stabilizzare l’inflazione (cioè l’aumento dei prezzi) e, in un primo momento, ha abbassato i tassi di interesse sul debito pubblico.
Anche se, a partire dal 2011, gli altissimi valori dello spread, ovvero la differenza tra il tasso pagato sul debito italiano rispetto a quello pagato sul debito tedesco (quello più virtuoso nell’eurozona), è stato uno degli indicatori della crisi dei debiti sovrani.
Infatti, secondo molti, l’euro ha scatenato la crisi economica perché è una moneta unica per 18 economie diverse. E ciò è un problema dal momento che, se le economie più forti esportano di più verso le economie più deboli, queste ultime non possono ricorrere alla svalutazione del tasso di cambio della propria moneta nazionale e quindi sono costrette a ridurre i salari e tagliare il welfare.
Altri affermano però che il non poter più ricorrere alle svalutazioni monetarie spinge il paese a puntare sull’innovazione e sulle riforme, che nel lungo periodo sono l’unico fattore che fa crescere un paese.
Dall’altra parte, invece, si afferma che l’euro renderà i paesi del Sud Europa sempre più poveri e quelli del Nord sempre più ricchi. Ciò accade perché eurolandia non è un’Area Valutaria Ottimale, poiché non c’è mobilità dei fattori produttivi (è difficile che masse di lavoratori migrino all’interno dell’unione), non c’è convergenza dei tassi di interesse e tanto meno c’è integrazione fiscale (ovvero regimi di tassazione uniformi con redistribuzioni territoriali di ricchezza, come avviene in Italia tra il Nord e il Sud).
Alcuni però contestano che se i paesi del Nord Europa, come la Germania, rispondono bene alla crisi, è perché loro, a differenza dei paesi del Sud, hanno fatto le riforme necessarie, come quella del mercato del lavoro.

Facendo leva sui problemi legati all’euro, alcuni chiedono di intraprendere la via dell’uscita dalla moneta unica e di ritornare alle monete nazionali oppure adottare due monete, una per il Nord e una per il Sud Europa.
Ciò restituirebbe agli stati il potere di svalutare la propria moneta per incentivare le esportazioni.
Allo stesso tempo, però, le importazioni diverrebbero più costose, comprese quelle delle materie prime, comportando costi molti più elevati per le imprese nazionali e per i consumatori, che vedrebbero salire i prezzi dei beni di consumo, a causa di un aumento dell’inflazione.
D’altro canto, l’Italia riacquisterebbe la sovranità monetaria. Svincolandosi dal trattato di Maastricht, potrebbe attuare delle politiche in deficit e violare il celebre 3%; mentre Banca d’Italia si riprenderebbe il potere di controllare la politica monetaria e di comprare i titoli del debito pubblico.
Alcuni fanno però notare che una quota del debito rimarrebbe in euro e sarebbe più costosa da ripagare. Mentre ripudiarla sarebbe impensabile poiché, dal giorno dopo, i mercati internazionali ci volterebbero le spalle e nessuno acquisterebbe più titoli del nostro paese.
Ma il pericolo più grave dell’uscita dall’euro sarebbe la corsa agli sportelli che si verificherebbe non appena i risparmiatori avessero il minimo sentore di ciò che potrebbe succedere. Tutta la popolazione andrebbe in banca a ritirare i propri euro o a trasferirli all’estero prima che vengano trasformati in lire di minor valore. E anche i titoli del debito pubblico sarebbe venduti in massa, mandando il bilancio pubblico in default, in fallimento.
Per evitare tutto ciò, l’uscita dall’euro dovrebbe essere fatta all’improvviso e nel giro di pochissimo tempo.
I fautori della permanenza nell’euro propongono alcune soluzioni alternative all’uscita dalla moneta unica come la condivisione di parte del debito degli stati, una banca centrale che possa acquistare i titoli dei paesi membri, un quadro fiscale unico e, in sostanza, una maggiore integrazione europea. Ciò resta però altrettanto difficile in un contesto come quello attuale.

Nell’agone politico, le diverse forze non hanno tardato a prendere posizione sull’euro e sull’ipotesi dell’uscita dalla moneta unica.
Quasi tutti i partiti principali si sono schierati per la permanenza nell’unione monetaria, proponendo però soluzioni alternative come l’acquisto da parte della Bce dei titoli di stato.
Ad appoggiare l’ipotesi dell’uscita dall’euro sono invece Fratelli d’Italia e soprattutto la Lega Nord, che lo ribadisce anche nel suo simbolo.
Il Movimento 5 Stelle invece propone da tempo un referendum sulla permanenza nell’euro, anche in modo da favorire il dibattito a riguardo.

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