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Attenzione! Qui si parla della prima versione della riforma costituzionale proposta dal governo Renzi. Nei successivi passaggi parlamentari la riforma si è modificata sostanzialmente. Clicca qui per il video e l’articolo aggiornato.

 

Uno dei temi di dibattito politico più caldi è la riforma della composizione e dei poteri del Senato, una delle due camere di cui è composto il nostro parlamento.
Per eliminare la ridondanza di due camere che fanno lo stesso lavoro, lo scorso 31 marzo, il governo Renzi ha presentato un disegno di legge costituzionale che, tra le altre cose, include proprio una trasformazione del senato. Ecco cosa prevede il progetto dell’esecutivo.

Innanzitutto, il nome cambia da “Senato della Repubblica” a “Senato delle Autonomie”. Infatti la principale modifica prevista riguarda la sua composizione. Il nuovo senato non sarà più eletto dai cittadini ma sarà composto da:
– i presidenti delle giunte regionali;
– i sindaci dei capoluoghi di regione;
– due membri di ciascun consiglio regionale;
– due sindaci eletti dall’assemblea di tutti i lori colleghi in ciascuna regione;
– 21 cittadini nominati dal Presidente della Repubblica, che rimarranno in carica per 7 anni.
Per risparmiare sui costi della politica, i membri del nuovo senato non riceveranno alcuna indennità.
Ma vediamo nello specifico i poteri che il senato manterrà. La nuova camera alta avrà ancora il potere di iniziativa legislativa, ossia potrà sempre presentare nuovi progetti di legge, e sarà ancora in grado di decidere sulle leggi costituzionali o di revisione costituzionale, sull’elezione e sulla messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica ed infine sull’elezione dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura e della Corte Costituzionale che spettano al parlamento.
Ciò di cui, invece, il senato non si occuperà più saranno la fiducia al governo e l’approvazione delle leggi ordinarie.
Ma sulle leggi ordinarie, il senato potrà esprimersi attraverso dei pareri, proponendo delle modifiche. Queste modifiche, se riguardano specifiche materie (come il rapporto dello stato con le autonomie locali), sono vincolanti per la camera, a meno che questa non voti contro a maggioranza assoluta.

Su questa proposta di riforma del senato, si sono subito alzate molte voci critiche.
I primi ad opporsi sono stati alcuni intellettuali o “professoroni”, come li ha definiti il presidente del consiglio, riuniti nell’associazione “Libertà e Giustizia”. Nel loro appello, giuristi del calibro di Rodotà e Zagrebelsky, hanno paventato il rischio di una “svolta autoritaria”.
A livello parlamentare, le posizioni dei partiti non sono affatto omogenee. Se il Movimento 5 Stelle è nettamente contrario, Forza Italia ha una posizione ambigua a riguardo, come del resto qualche disaccordo c’è anche nei partiti di maggioranza. Anche nello stesso partito del premier, il Pd, non c’è intesa: 22 senatori democratici hanno presentato un progetto alternativo, il cui primo firmatario è Vannino Chiti, che prevede il mantenimento del senato elettivo e la riduzione del numero dei parlamentari di entrambe le camere.
Dopo la vittoria alle elezioni europee, Matteo Renzi si è detto disponibile a trovare un compromesso, a patto che il senato diventi un organo non elettivo. Ma questa è una condizione che la controparte non intende accettare.
Alcuni giorni fa, lo stesso Chiti insieme a Corradino Mineo del Pd e Mario Mauro del gruppo “Per l’Italia” sono stati rimossi dalla commissione affari costituzionali del Senato proprio perché si opponevano alla proposta del governo. Per protestare contro questo allontanamento, 14 senatori si sono autosospesi dal Pd, decisione che poi è rientrata.
Ieri, il premier Renzi ha fatto sapere che l’accordo su un nuovo senato è «ad un passo». Esso rappresenterà probabilmente una mediazione tra le posizioni dei partiti di maggioranza con Forza Italia.

 

 

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