Ancora in pochi lo sanno, ma il prossimo 17 aprile si terrà un referendum a cui tutti i cittadini italiani sono chiamati a partecipare. Si tratta di un referendum abrogativo su un argomento un po’ ostico che ha a che fare con l’estrazione di gas e petrolio in mare. Vediamo insieme di cosa si tratta e quali sono le ragioni di chi è favorevole e di chi è contrario.
IL QUESITO
Già da qualche anno, in Italia, sono vietate le estrazioni di gas e petrolio in mare entro le 12 miglia nautiche (ovvero 22,2 chilometri), ma è stata prevista un’eccezione per le autorizzazioni già concesse, che potranno essere estese fino a che il giacimento non sarà esaurito, compresa la possibilità di costruire nuovi impianti. Il quesito che verrà posto sulla scheda chiederà ai votanti se vogliono abrogare questa eccezione (nel qual caso occorre votare “sì”) oppure sono d’accordo nel mantenerla (mettendo quindi una croce sul “no”). Perché il risultato della consultazione sia valido occorre che votino il 50% più uno degli aventi diritto. Se ciò succederà e se vincerà il “sì”, allora le piattaforme entro le 12 miglia marine dovranno essere smantellate alla scadenza della concessione, nel giro di pochi anni. Se non si raggiungerà il quorum o se vincerà il “no”, sarà come se il referendum non si fosse nemmeno tenuto.
COME CI SIAMO ARRIVATI
Perché si è giunti a votare su un argomento così specifico? La storia di questo referendum è un percorso ad ostacoli. Nel luglio dello scorso anno, il movimento politico Possibile presenta otto quesiti referendari, di cui due sulle trivellazioni, per i quali inizia a raccogliere le 500 mila firme richieste. Tuttavia, alla fine di settembre, non riesce ad arrivare alla cifra richiesta. Al suo posto dieci regioni, Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania, Molise e l’Abruzzo, che poi ritirerà il suo sostegno, presentano 6 quesiti, tutti sull’estrazione di idrocarburi in mare. In autunno però, il governo cambia la normativa vigente all’interno della Legge di Stabilità, cercando di venire incontro alle regioni, al fine di evitare la consultazione referendaria. 5 dei 6 quesiti vengono così a decadere, mentre sopravvive solo quello su cui si andrà al voto. Alcune regioni chiederanno alla Corte Costituzionale di esprimersi su un conflitto di attribuzione dei poteri con il governo, per votare su altri due quesiti esclusi, ma il ricorso sarà giudicato inammissibile per questioni formali. Infine, questo inverno, il governo ha stabilito la data della consultazione, che però non si terrà lo stesso giorno delle elezioni amministrative previste sempre per questa primavera. Molti hanno visto in questa decisione il tentativo dell’esecutivo di non far raggiungere il quorum e hanno denunciato la maggiore spesa prevista per votare in due diversi appuntamenti, che ammonta a più di 300 milioni di euro.
GAS E PETROLIO IN ITALIA
Nel territorio italiano, le concessioni rilasciate dal governo per l’estrazione di idrocarburi, quindi petrolio o gas, sono 202: 133 sulla terraferma e 69 in mare. Molte di queste autorizzazioni sono state conferite diverso tempo fa, dato che le concessioni hanno una durata iniziale di trent’anni, prorogabili una prima volta per 10 anni, poi per 5, poi ancora per altri 5 e infine finché non si è esaurito il giacimento. Per quanto riguarda le concessioni in mare, queste vedono la presenza di 79 piattaforme eroganti, di cui 48 sono interessate dal referendum in quanto entro le 12 miglia dalla costa. La maggioranza di queste estrae gas.
Nel 2015, la produzione nazionale ha coperto il 9,1% dei consumi totali di petrolio e il 10,2% di quelli di gas. Tuttavia, secondo Greenpeace, le piattaforme interessate riguardano soltanto lo 0,8% del fabbisogno di petrolio e il 3% di quello di gas. C’è anche da dire che negli ultimi anni, complice la crisi economica, i consumi di questi idrocarburi in Italia sono scesi in modo lento ma costante.
In generale, non si può certo dire che l’Italia sia un paese ricco di risorse energetiche tradizionali. Infatti, stando alle riserve esistenti alla fine del 2006, se venisse estratto tutto il petrolio presente nei nostri giacimenti coprirebbe soltanto 1 anno e 3 mesi dei consumi nazionali, 2 anni per quanto riguarda il gas naturale. Queste stime però non considerano che una buona parte di queste risorse sono impossibili da recuperare. Tolte queste, le risorse nazionali basterebbero soltanto per pochi mesi o addirittura settimane.
LE RAGIONI DEL SÌ E DEL NO
Con l’indizione del referendum, diversi attori sociali hanno cominciato a schierarsi da una parte o dall’altra.
Sul fronte del sì troviamo il Comitato No-Triv, a cui fanno riferimento diverse associazioni ambientaliste, a partire da Legambiente, Greenpeace e Wwf, ma anche partiti come il Movimento 5 Stelle, la Lega Nord, Sinistra Italiana, l’Altra Europa con Tsipras, Possibile. Troviamo anche i sindacati di base, mentre la Cgil è divisa.
Sul fronte del no, o meglio, dell’astensione (con l’obiettivo di non far raggiungere il quorum), vediamo il Partito Democratico (anche se la minoranza del partito voterà sì) e il Comitato Ottimisti e Razionali, composto da politici, esponenti del settore energetico e gente comune.
Vediamo allora le argomentazioni di queste due fazioni in lotta tra loro.
Per i sostenitori del sì, uno dei motivi principali per cui le trivelle andrebbero smantellate è quello ambientale. Un recente studio di Legambiente, realizzato sulla base di dati governativi provenienti da una trentina di impianti offshore, mostra come 3 piattaforme su 4 presentano, nei loro sedimenti marini, una contaminazione di almeno una sostanza pericolosa fra idrocarburi e metalli pesanti, alcune delle quali sono anche cancerogene. E anche le cozze pescate nelle vicinanze risultano contaminate. Ma i problemi ambientali sarebbero anche altri: gli impulsi sonori generati dagli air gun, gli strumenti usati per la scansione dei fondali al fine di rilevare i giacimenti, sono nocivi per la salute di alcuni pesci e crostacei. Inoltre, esiste il rischio di subsidenza per i fondali, ovvero di un loro progressivo sprofondamento. I fautori del sì sostengono poi che la presenza di trivelle sia negativa per il turismo.
Dalla parte del no, si contesta che i livelli di inquinamento e di danni all’ambiente non siano significativi e che gli impianti di estrazione non rappresentino un problema per il turismo, dal momento che le zone che ne vedono una presenza maggiore sono anche quelle più attrattive per i turisti. Anzi, per i sostenitori del no, ridurre la produzione nazionale di gas e petrolio aumenterebbe l’inquinamento invece di ridurlo, dato che implicherebbe l’acquisto di queste risorse dall’estero con conseguente passaggio di numerose petroliere nei nostri mari. I contrari al referendum affermano poi che questo settore dà lavoro a decine di migliaia di persone, posti di lavoro che andrebbero persi insieme alle conoscenze e professionalità acquisite dalle imprese italiane negli anni.
Tra i fautori del sì, invece, si evoca il rischio di incidenti che, sebbene non possano essere devastanti come quello del 2010 nel Golfo del Messico per via della struttura degli impianti italiani, potrebbero comunque provocare gravi danni alla fauna e alla flora marina.
I no ribattono che il rischio di incidenti sulle piattaforme di trivellazione è quasi trascurabile mentre è molto più alto per le petroliere, che sono attualmente il maggiore fattore di inquinamento del Mar Mediterraneo. I contrari al referendum sostengono inoltre che sia importante mantenere un certo livello di produzione interna di idrocarburi perché questo ci metterebbe almeno in parte al riparo dalle crisi internazionali.
Tra le fila dei sì, l’argomentazione che più viene usata per convincere gli indecisi è che un esito positivo di questo referendum darebbe un forte segnale alla politica, spingendola a dimostrare maggiore sensibilità verso i problemi ambientali e ad adottare misure per fermare il cambiamento climatico, come un più forte investimento sulle energie rinnovabili. Infatti, queste fonti di energia pulita stanno sempre più sostituendo quelle fossili: nel 2015, quasi un terzo dell’energia elettrica del nostro paese veniva prodotta da fonti rinnovabili, rappresentando il 17,3% dei consumi totali di energia (compresa quindi quella usata per muoverci e per riscaldarci), in costante aumento rispetto agli anni precedenti. Inoltre, i sostenitori del sì ricordano che, al fine di mantenere l’aumento della temperatura globale sotto i due gradi, così come stabilito nella Conferenza sul Clima di Parigi, è necessario che la maggior parte delle fonti fossili rimana nel sottosuolo.
Dal canto loro, i no sono contrari all’assegnare un significato politico al referendum e, in generale, affermano che delle fonti fossili non si possa ancora fare a meno.
INFORMAZIONI PRATICHE
Le urne saranno aperte domenica 17 aprile, dalle 7 alle 23. Potranno votare tutti i cittadini italiani maggiorenni, per la prima volta anche quelli momentaneamente all’estero, tramite il voto per corrispondenza organizzato dagli uffici consolari. Gli studenti fuori sede possono usufruire di sconti speciali sui treni oppure possono votare con alcuni escamotage nella città in cui si trovano.. Per poter votare, è necessario essere muniti di carta d’identità e tessera elettorale.