Votare sul taglio dei parlamentari. Chi e perché direbbe di no? A cosa serve un referendum?

Il 20 e 21 settembre saremo chiamati a votare in un referendum di cui probabilmente non avete ancora sentito parlare e il cui esito, salvo grosse sorprese, è abbastanza scontato. Il tema è il taglio di un terzo dei membri del parlamento. Qui vedremo i dettagli della riforma sottoposta al voto, le posizioni dei partiti e tutti i pro e i contro.

La riforma

Oggi nel nostro parlamento siedono 945 eletti: 630 alla Camera dei Deputati e 315 nel Senato della Repubblica. La riforma su cui voteremo ne taglia 230 alla Camera, che scende a 400 deputati, e 115 al Senato, che sarà composto da soli 200 senatori. Quindi, se la riforma venisse confermata col referendum, gli attuali 945 parlamentari verranno tagliati del 36,5% e diventeranno 600 in tutto. A questo numero si aggiungono massimo 5 senatori a vita di nomina presidenziale e gli ex capi dello stato che acquisiscono il seggio di diritto.

Questa modifica è stata approvata in ultima battuta dalla Camera l’8 ottobre 2019 con 553 voti a favore, 2 astenuti e 14 contrari. Tra questi ultimi troviamo deputati di Più Europa e del gruppo misto. Lo scorso gennaio però 71 parlamentari hanno raccolto le firme per indire il referendum confermativo della riforma. Infatti, modificare il numero dei parlamentari significa modificare la Costituzione, la legge fondamentale dello stato a cui tutte le altre leggi devono aderire. E per modificare la Costituzione serve una procedura particolare che prevede che ciascuna delle due camere voti lo stesso testo per due volte a distanza di tre mesi e se questo non viene approvato dai due terzi dei componenti di ciascuna camera ma solo dalla maggioranza, la riforma può essere sottoposta a referendum confermativo. Il voto popolare si tiene però solo se lo richiedono mezzo milione di cittadini, cinque regione oppure, come nel nostro caso, un quinto dei membri di una camera. Fra coloro che hanno firmato, la parte del leone la fa Forza Italia con 42 firmatari, seguiti da 10 del gruppo misto, 9 della Lega, 5 del Pd, 2 di Italia Viva e addirittura 2 dei 5 Stelle.

Cosa dicono i partiti

Non c’è quasi bisogno di dire che il partito promotore di questa riforma è stato il Movimento 5 Stelle, che ha insistito molto perché completasse il suo iter. Per i grillini il taglio dei parlamentari è stato il cavallo di battaglia fin dall’inizio, nel loro intento di ridurre i costi e i privilegi della politica. Comunque nell’ultimo voto in parlamento praticamente tutti i partiti hanno dato il via libera alla legge, con Forza Italia che forse è stato il gruppo più tiepido a riguardo. Da segnalare è la posizione del Partito Democratico, che in un primo momento era stato contrario al taglio dei parlamentari preoccupato da una diminuzione della rappresentanza dei cittadini in parlamento. Tuttavia, anche il Pd nell’ultima lettura ha votato a favore della riforma, rassicurato da un accordo stretto con i 5 Stelle in base al quale verranno fatte altre riforme per fare da contrappeso a questa, tra le quali una nuova legge elettorale (di cui si sta discutendo nelle ultime settimane), la modifica di alcune norme sul ruolo delle regioni nel parlamento e l’allineamento dell’età per votare e per essere votati come parlamentari del Senato a quella della Camera (rispettivamente 18 e 25 anni). L’unico partito che fa ufficialmente campagna per il ‘no’ al taglio dei parlamentari è Più Europa, che denuncia una riforma fatta solo per ragioni populistiche che non migliora affatto il modo di funzionare del parlamento.

I risparmi

Molti italiani vedono la politica come fonte di privilegi e sperperi. Anche se negli ultimi anni, specie dopo la crisi economica e l’insorgenza della cosiddetta “antipolitica”, i cordoni della borsa sono stati un po’ ristretti, per esempio sul fronte dei vitalizi, non è comunque giudicato abbastanza. È per venire incontro a questa esigenza che è stato proposto il taglio dei parlamentari, grazie al quale lo stato dovrebbe risparmiare in indennità, rimborsi ed emolumenti vari. Ma a quanto ammonta questo risparmio?

Secondo un calcolo fatto direttamente sul bilancio delle due camere, ogni anno i risparmi dovrebbero essere di 52,9 milioni di euro alla Camera e 28,7 al Senato, per un totale di 81,6 milioni di euro annui totali. Questa cifra però va presa con le molle, perché ci sono dei fattori che possono aumentare o diminuire il risparmio. Per esempio, a questi 81,6 milioni andrebbe sottratta la parte della loro indennità che i parlamentari restituiscono allo stato in termini di imposte e contributi e si arriverebbe a 57,3 milioni, secondo i calcoli fatti dall’Osservatorio dei conti pubblici italiani. Dall’altro canto però, ulteriori risparmi possono provenire dai minori costi che le strutture di Camera e Senato dovranno sostenere per ospitare qualche centinaia di persone in meno. Insomma, è difficile quantificare con estrema precisione la cifra esatta che si andrà a risparmiare con la riforma, però possiamo dire che sarà tra i 50 e i 100 milioni di euro all’anno, intorno ad un euro per ogni cittadino. Un po’ poco, fa notare qualcuno, in confronto ad un bilancio pubblico di circa 800 miliardi l’anno, per non parlare del debito pubblico. Peraltro, solo i costi per organizzare il referendum (circa 300 milioni) vanificheranno i risparmi dei primi 4-5 anni. Tuttavia, al di là dei meri calcoli economici, da alcuni una riduzione dei parlamentari che oggi vengono considerati troppi e inutili è vista come una questione di principio e un messaggio dovuto da parte della politica che, in tempi di ristrettezze economiche, deve fare la sua parte.

La rappresentanza

Se il principale argomento a favore della riforma riguarda i risparmi economici che garantisce, la maggiore questione sollevata dai contrari è quella della rappresentanza: 600 parlamentari sono sufficienti a rappresentare 60 milioni di cittadini? Per rispondere a questa domanda è utile vedere cosa succede negli altri paesi europei. Prendiamo in considerazione la camera bassa di ogni paese. Quella italiana, nel caso in cui la riforma venga confermata, avrà 400 membri, contro i 577 della Francia (che però sta discutendo di una riforma per portarli a 404), i 650 del Regno Unito e i 709 della Germania (anche se lì il numero è variabile, con un minimo di 598 membri). Altri paesi con meno abitanti hanno anche meno parlamentari: sono 460 in Polonia e addirittura 350 in Spagna. Quindi il confronto che ha più senso è quello del rapporto tra eletti ed elettori di ogni paese. Il calcolo è stato fatto direttamente dagli uffici studi del parlamento e questo è il risultato: con la riforma la Camera italiana passa da un rapporto di 1 deputato per 96 mila abitanti ad 1 ogni 151 mila, facendo da capofila in Europa, seguita dalla Spagna con 1 deputato ogni 133 mila cittadini, da Francia e Germania entrambe con un parlamentare per 116 mila abitanti, dall’Olanda con uno ogni 114 e poi tutti gli altri con rapporti ancora più bassi.

Questa la panoramica delle camere basse. E le camere alte? Nella maggior parte dei paesi dell’Unione Europea (15 su 27) il senato nemmeno esiste, mentre negli altri molto spesso non è eletto direttamente dai cittadini oppure svolge funzioni diverse dalla camera bassa. Il fatto che in Italia esista un Senato eletto direttamente dai cittadini e che svolge le stesse funzioni della Camera può essere visto in due modi. Da una parte, le decisioni sono più ponderate perché prese da due assemblee diverse che devono concordare sullo stesso testo di una legge e quindi da un certo punto di vista i cittadini sono meglio rappresentati. Dall’altra parte, si avrà un Senato con gli stessi poteri della Camera e dove il rapporto fra eletti ed elettori sarà di un senatore ogni 300 mila cittadini: una soglia parecchio alta, che unita al fatto che il Senato è eletto su base regionale, farà sì che alcune zone dell’Italia incideranno ben poco sulla composizione dell’assemblea.

Conclusione

Riassumendo, le due posizioni sono queste. Da una parte c’è chi dice: la politica è fonte di sprechi e privilegi assurdi, tra cui un numero di parlamentari troppo alto; in un periodo di depressione economica, è giusto che anche i politici facciano la loro parte. Dall’altra si dice: la riforma è stata fatta per ragioni populistiche, porterà risparmi esigui e l’avere meno parlamentari significherà una minore rappresentatività dei cittadini e quindi una minore varietà di idee nelle aule del parlamento.

Questa è una panoramica della riforma su cui saremo chiamati ad esprimerci. I seggi saranno aperti domenica 20 settembre dalle 7 alle 23 e lunedì 21 dalle 7 alle 15. Per votare, è necessario portare con sé un documento di riconoscimento e la tessera elettorale. Il referendum non ha quorum, quindi non serve che voti almeno la metà degli elettori. Quale che sia l’affluenza, una maggioranza dei ‘sì’ farà entrare in vigore il taglio dei parlamentari, una prevalenza dei ‘no’ lascerà le cose come sono ora.

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