Il prossimo 30 aprile gli elettori del Partito Democratico sono chiamati a scegliere il segretario – cioè il leader – del partito. Sono tre i candidati che in questi giorni stanno battendo il territorio nazionale per portare avanti le loro visioni del partito e del paese. In questo video conosceremo meglio le loro storie e le loro idee, ma prima facciamo un passo indietro.
Capitolo 1. Come ci siamo arrivati
Il referendum dello scorso 4 dicembre è stato un vero e proprio terremoto politico per il nostro paese: a seguito della bocciatura della riforma costituzionale, perno centrale del programma di governo, il presidente del consiglio Matteo Renzi ha preso atto del messaggio politico dietro al voto e ha rassegnato le dimissioni. Il 12 dicembre, dopo le consultazioni del presidente della Repubblica, gli è succeduto Paolo Gentiloni, il precedente ministro degli esteri, sempre esponente del Pd.
La sconfitta al referendum tuttavia non ha provocato solo conseguenze a livello governativo, ma ha anche ridato forza alla minoranza interna al Pd, che fino a quel momento aveva sì criticato le scelte di Renzi, ma senza mai spingersi troppo in là. Da quel momento infatti, personalità quali Bersani, Speranza, D’Alema e Rossi hanno iniziato a pretendere una discussione sui temi più importanti e l’apertura ad un possibile cambio di leadership nel partito, ovvero un congresso seguito da primarie. Sebbene Renzi abbia infine acconsentito a questo processo, le due parti si sono trovate in forte disaccordo sulle tempistiche, in quanto la minoranza prediligeva un congresso in autunno in modo da avere spazio per discutere la linea del partito mentre Renzi preferiva fare molto più in fretta in modo da tenere il partito pronto per eventuali elezioni anticipate. Quando l’ex premier, durante l’assemblea nazionale del 19 febbraio, si è dimesso da segretario facendo partire l’iter per il congresso, la frattura si è aggravata ulteriormente, diventando insanabile: in quegli stessi giorni infatti Bersani, Speranza, D’Alema, Rossi e molti altri parlamentari sono usciti dal Pd e hanno fondato “Articolo 1 – Movimento Democratico e Progressista”, abbreviato in Mdp.
Un esponente della minoranza che sembrava pronto ad uscire ma ha infine deciso di rimanere per sfidare Renzi alle primarie è stato Michele Emiliano, che pochi giorni dopo ha annunciato la sua candidatura. A lui si è aggiunto anche il ministro della giustizia Andrea Orlando, con l’intento di dare rappresentanza alle correnti più progressiste all’interno del Pd.
Capitolo 2. I candidati
Le primarie del prossimo 30 aprile fanno parte di un processo più lungo e complesso già iniziato nelle scorse settimane, cioè il congresso, che è quel momento della vita di un partito in cui si sceglie la sua linea politica e da chi deve essere guidato. Le regole congressuali prevedono che gli iscritti al partito abbiano potuto votare già tra la fine di marzo e l’inizio di aprile e questi sono i risultati: dei 450 mila iscritti, hanno votato in 266 mila, segnando un 59% di affluenza. Matteo Renzi ha ottenuto il risultato più alto, raccogliendo due terzi delle preferenze (66,7%), seguito da Andrea Orlando, scelto da un votante su quattro (25,3%), e da Michele Emiliano con l’8%. Ma conosciamo meglio i tre candidati.
Matteo Renzi è sicuramente il più noto dei tre. Nato a Firenze nel 1975, muove i primi passi in politica nella Margherita, diventa prima presidente di provincia e poi sindaco del capoluogo toscano, viene eletto segretario nazionale del Pd con le primarie del dicembre 2013 e viene infine nominato presidente del consiglio all’inizio del 2014.
Andrea Orlando è nato nel 1969 a La Spezia. Come Renzi, inizia la sua carriera politica fin da giovane, con cariche sia nel partito, nel suo caso il Pci e poi Pds, sia in consiglio comunale. Parlamentare dal 2006, è ministro dell’ambiente nel Governo Letta e ministro della giustizia con Renzi e nell’attuale Governo Gentiloni.
Michele Emiliano è nato a Bari nel 1959. Dopo alcuni anni da avvocato entra in magistratura e da pubblico ministero si occupa di lotta alla mafia in Sicilia e in Puglia, vivendo per anni sotto scorta. Nel 2004, mettendosi in aspettativa dalla magistratura, diventa sindaco di Bari. Fa due mandati, finiti i quali viene eletto presidente della Regione Puglia, carica che ricopre tutt’ora.
Capitolo 3. I programmi
Candidandosi alla guida del Pd, ogni aspirante segretario ha presentato una mozione congressuale, che illustra le sue proposte per il partito e per il paese. Naturalmente le diverse mozioni non sono così distanti fra loro, dato che stiamo parlando di persone dalla stessa appartenenza politica, ma alcune differenze si possono trovare.
L’unico che abbiamo già visto all’opera sia come segretario del Pd sia come premier è Matteo Renzi, quindi un po’ sappiamo già cosa aspettarci da lui. C’è da dire però che, dopo la sconfitta del referendum, ha leggermente modificato il suo messaggio tentando di mostrarsi consapevole del disagio sociale che, secondo molti osservatori, ha determinato quel risultato. In particolare, ha cercato di venire incontro agli elettori del Movimento 5 Stelle proponendo, in risposta al reddito di cittadinanza dei grillini, quello che ha chiamato un lavoro di cittadinanza, cioè un miglioramento delle cosiddette politiche attive del lavoro, ovvero di quelle misure in grado di aiutare chi perde il lavoro a trovarne un altro, magari dopo un periodo di formazione o riqualificazione. Renzi propone poi una riduzione del cuneo fiscale e delle imposte sul reddito, in continuità con quanto fatto durante i mille giorni al governo.
Sull’Europa, l’ex premier si spende per una maggiore dimensione politica dell’Unione, rafforzando l’integrazione specie nel campo della difesa, scegliendo con le primarie il candidato del Partito Socialista Europeo e chiedendo l’elezione diretta da parte dei cittadini del presidente della Commissione. Sul lato delle politiche, Renzi chiede che gli investimenti in sicurezza, ricerca e cultura vengano esclusi dal calcolo del deficit e auspica una gestione comune dei migranti.
Sulla legge elettorale, l’ex premier chiede che rispetti i principi del Mattarellum e dell’Italicum: dalle elezioni deve uscire un vincitore, senza che sia necessario cercare alleanze in parlamento dopo le elezioni.
Per quanto riguarda il Pd, secondo Renzi dovrebbe essere un partito che va ad elezioni da solo e non all’interno di coalizioni, dove il segretario è anche candidato premier e dove ci deve essere una partecipazione dal basso ma la leadership deve avere una certa autonomia.
Renzi infine si propone come l’unico che può avanzare una proposta riformistica in contrapposizione con il populismo dilagante.
La mozione di Orlando è quella in cui compare più volte la parola “sinistra” e non a caso: dei tre candidati, è sicuramente il più vicino alla cultura politica del Pd pre-Renzi e degli scissionisti di Mdp. Contro il populismo e in difesa della democrazia, l’attuale ministro della giustizia invoca una maggiore attenzione ai bisogni delle persone e una lotta alle disuguaglianze sociali. In questa direzione va anche la principale proposta sull’Europa: la creazione di un pilastro sociale, basato su un’assicurazione europea contro la disoccupazione. Orlando propone poi di scorporare gli investimenti strategici dal calcolo del deficit.
Sulle tasse chiede di trasferire l’imposizione fiscale dal lavoro al reddito, abbassando sì le imposte ma perseguendo i grandi evasori e creando una tassa per le società di Internet che spesso pagano molto poco. Come Renzi, è contrario ad un reddito minimo garantito ma è favorevole a rafforzare il reddito di inclusione sociale e l’assistenza dello stato nella ricerca del lavoro. Al fine di rilanciare l’economia, Orlando propone di puntare sugli investimenti pubblici e su un ruolo strategico dello stato, in modo da arrivare ad una piena occupazione di qualità.
Sulla legge elettorale, dice che è inutile continuare a spingere per il Mattarellum perché gli altri non lo voteranno mai, propone invece un proporzionale con un premio di governabilità al partito che arriva primo, oltre a ridare la possibilità ai cittadini di scegliersi i propri parlamentari all’interno dei collegi uninominali.
Orlando ha un’idea del partito molto diversa da quella di Renzi: secondo lui, il ruolo del Pd è quello di mediare tra le istanze della società e trasformarle in proposte politiche, si scaglia contro l’uomo solo al comando e al partito trasformato in mero comitato elettorale, è contrario alla sovrapposizione tra la carica di segretario e quella di premier. Per lui, il Pd deve essere il perno di una più ampia coalizione di centro-sinistra.
Fra i tre candidati, Emiliano è quello più critico nei confronti di Renzi e quello che strizza di più l’occhio ai 5 stelle, non ricambiato tuttavia: per esempio, quando è stato eletto governatore della regione Puglia, ha cercato di nominare tre assessori della propria giunta scegliendoli fra i grillini, ma ha ricevuto un secco rifiuto.
In campo economico, la sua proposta si traduce in una riduzione delle imposte sul reddito delle fasce più basse, ma si dice contrario alla logica dei bonus portata avanti da Renzi. Dell’operato dell’ex premier, critica anche la riforma della scuola e l’adozione del Jobs Act, chiedendo una reintroduzione dell’articolo 18. Come Orlando, propone una webtax ma, a differenza sua, avanza anche l’idea di un reddito minimo garantito. Per quanto riguarda l’Europa, anche lui critica le politiche d’austerità e invoca una maggiore attenzione alla crescita.
Nel suo programma non può mancare un particolare accento sugli investimenti per il meridione. Inoltre Emiliano punta molto sulla tutela dell’ambiente e lo si è visto anche negli ultimi mesi con la sua opposizione alle trivelle in mare e all’oleodotto Tap.
Per quanto riguarda il partito, anche Emiliano si dice contrario alla logica dell’uomo solo al comando, rilancia una maggiore partecipazione dei territori e avanza la proposta di una piattaforma online per la consultazione degli iscritti. Se vincesse, promette di non candidarsi premier ma intende rimanere presidente della sua regione. Inoltre, ha dichiarato di essere contrario ad alleanze post voto con Forza Italia, mentre mostra un’apertura verso il Movimento 5 Stelle.
Capitolo 4. Il voto
Le primarie si terranno domenica 30 aprile, dalle 8 alle 20. È possibile trovare l’indirizzo del proprio seggio sul sito del Pd. Può votare chiunque, anche i non iscritti al partito, ma è necessario sottoscrivere una dichiarazione in cui si afferma di essere elettori del Pd e di riconoscersi nella sua proposta politica. Per esprimere il proprio voto è necessario versare due euro e presentarsi al seggio muniti di un documento di riconoscimento e della tessera elettorale.
La domenica successiva alle primarie sarà convocata l’Assemblea nazionale del partito che proclamerà vincitore il primo arrivato, a patto che abbia raggiunto almeno il 50% più uno dei voti. Se nessuno dei candidati avrà raggiunto quella soglia, spetterà all’Assemblea scegliere il segretario fra i due che avranno raccolto più preferenze.
Scritto da Emilio Frattallone (cap. 1) e Fabio Fontana (capp. 2, 3 e 4)