Se fino a qualche mese fa, il problema di accogliere i migranti era soltanto di Italia e Grecia, ora l’Europa si sta accorgendo che questo fenomeno coinvolge l’intero continente. E trovare una soluzione non risulta affatto semplice. Cerchiamo allora di scavare più a fondo nella questione.

LE ROTTE. Fino a qualche tempo fa, la rotta principale per giungere in Europa era quella mediterranea. I migranti partono dall’Africa subsahariana, spesso da paesi sconvolti dalla guerra come Eritrea, Niger e Somalia; raggiungono tra mille difficoltà la Libia e da qui salpano su barconi fatiscenti alla volta di Italia, Malta e Grecia. Il tutto pagando cifre molto alte e rischiando la propria vita, sia durante il tragitto in mare sia sulla terraferma, dal momento che passano per le mani di spietati trafficanti di esseri umani.

Negli ultimi mesi però, si è aggiunta un’altra rotta: quella balcanica. A percorrerla, sono soprattutto siriani e afghani che salpano dalla Turchia e raggiungono le isole greche in poco tempo, ma poi devono attraversare tutti i Balcani, passando dalla Grecia in Macedonia e poi in Serbia, dove tentano di entrare in Ungheria, il primo paese dell’Unione Europea dopo la Grecia. Da qui, grazie all’area di libera circolazione creata con gli accordi di Schengen, possono muoversi liberamente e raggiungere la loro meta, di solito l’Austria, la Germania o la Svezia.

Quindi due rotte: quella mediterranea e quella balcanica. Se i migranti giunti passando dal mare Mediterraneo sono sostanzialmente lo stesso numero degli anni precedenti, l’immigrazione proveniente dai Balcani è aumentata vertiginosamente.

LE RAGIONI. Le ragioni per cui queste persone decidono di lasciare la propria terra, abbandonando le loro case e i loro affetti, variano da paese a paese. Spesso viene fatta la distinzione tra migranti economici e profughi. I primi, trovandosi in povertà nei loro luoghi d’origine, partono in cerca di un lavoro e di condizioni di vita migliori. I profughi sono invece coloro che fuggono dalla guerra e che perciò hanno diritto ad essere accolti. Tuttavia, spesso non è facile distinguere le due categorie perché, anche laddove non vi fossero conflitti armati, potrebbero esserci violenze e discriminazioni.

Di sicuro possono godere dello status di rifugiati i siriani, che costituiscono circa la metà di tutti gli immigrati entrati in Europa dall’inizio dell’anno. La guerra tra il regime di Assad, i ribelli e l’Isis sta imperversando in Siria da 4 anni e ancora non se ne vede la fine. Di recente, il regime di Assad, da una parte ha dato via ad una campagna di arruolamento obbligatorio per l’esercito, dall’altra incentiva chi è scontento o chi gli si oppone ad emigrare.

A percorrere la rotta balcanica però non sono solo i siriani, ma anche altri profughi come iracheni e afghani e migranti economici che arrivano da Pakistan e Bangladesh. Se molte persone hanno cominciato a percorrere questa strada per arrivare in Europa è anche grazie alla sua convenienza economica: chi arriva afferma di aver pagato 2-3 mila dollari, contro i 5-6 mila di chi parte dalla Libia. Inoltre è molto meno pericolosa, dato che il tratto di mare da percorrere è molto più tranquillo e breve, qualche decina di minuti contro diverse ore di viaggio.

LA RISPOSTA. Come ha reagito l’Europa davanti a questo enorme flusso di persone in arrivo? Le istituzioni comunitarie sono state colte impreparate e ogni paese ha fatto un po’ i propri interessi.

Il trattato che regola la materia dell’immigrazione fra i paesi europei è stato firmato nel 1990 a Dublino, in Irlanda. Sebbene nel tempo gli siano state apportate diverse modifiche, il suo principio di base stabilisce che il primo paese in cui il rifugiato approda sia responsabile della sua identificazione e del vaglio della sua richiesta d’asilo. E se questa verrà accettata, sarà quel paese a doverlo ospitare.
Per questo motivo, quando i migranti arrivano in Italia, in Grecia o in Ungheria spesso non vogliono farsi identificare, avendo pianificato di stabilirsi in altri paesi europei.

Nelle ultime settimane, abbiamo visto come, anche a causa di questa regola, gli stati europei si siano scontrati sul tema dell’immigrazione. L’Ungheria ha addirittura costruito un muro di filo spinato lungo tutto il confine con la Serbia, respingendo i migranti che provavano ad oltrepassarlo. Così, essi hanno cominciato a dirigersi verso la Croazia che, dopo un primo momento di apertura, li ha reindirizzati verso Serbia e Ungheria. La Germania, dal canto suo, con una decisione inaspettata, si è detta disponibile ad accogliere i profughi siriani, sebbene non sia stato predisposto un piano di trasporto dei migranti, che devono comunque percorrere tutto il tragitto con i propri mezzi e superando gli ostacoli posti dai paesi dell’Est.

L’Europa ha anche provato ad affrontare la crisi in modo unitario, spingendo per una condivisione degli immigrati. Il 22 settembre il Consiglio dei ministri degli interni dell’Unione ha predisposto un piano di condivisione obbligatoria di 120 mila migranti, che si applica immediatamente ai 66 mila provenienti da Italia e Grecia, mentre restano in sospeso i 54 mila da prelevare in Ungheria. Tuttavia, questo tentativo ha visto una strenua opposizione di molti paesi, soprattutto quelli dell’Europa Orientale: hanno infatti votato contro Ungheria, Romania, Repubblica Ceca e Slovacchia, con la Finlandia che si è astenuta. Successivamente, il Consiglio Europeo dei capi di stato e di governo dell’Unione ha stabilito la costruzione di “hot spot”, ossia di centri per l’identificazione di chi arriva, nei paesi maggiormente interessati dall’immigrazione, oltre ad aver stanziato un miliardo di euro di aiuti militari per fronteggiare l’emergenza.

IN CONCLUSIONE. Benché molti cerchino di farci credere il contrario, il problema dell’immigrazione non è affatto semplice da risolvere. Ciò che è certo, è che si tratta di una questione che riguarda l’Europa intera. Nessun paese può fare da solo o guardare da un’altra parte. L’Onu ci ha messo in guardia dal fallimento nel trovare un accordo, perché questo potrebbe portare alla fine del concetto stesso di unità europea.
In tutto questo, però, non si può dimenticare di avere a che fare con le vite di molte persone, molte delle quali continuano a morire nel mar Mediterraneo, colpevoli soltanto di aver desiderato una vita migliore.

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