Nel novembre del 2014 abbiamo pubblicato un primo video che riassume l’origine e le caratteristiche dell’organizzazione terroristica denominata Isis. Da quel momento la situazione è cambiata drasticamente e lo Stato Islamico si è fatto sempre più minaccioso, attaccando direttamente alcune delle più grandi capitali del mondo e dando un nuovo volto al terrorismo. Vediamo insieme che cos’è successo e quali sono le ragioni per cui l’Isis è così temuto.
DALL’INIZIO AD OGGI
Il 29 giugno 2014 l’Isis ha proclamato la restaurazione del califfato islamico in Siria, suscitando inizialmente tanta ilarità e critiche dagli studiosi islamici, quanto appoggio di alcuni sostenitori Giordani, Arabi e Siriani. Da quel momento ha inizio la sua espansione militare in Iraq e sul confine con la Turchia, attirando inevitabilmente l’attenzione delle potenze occidentali: l’8 agosto 2014 il presidente statunitense Barack Obama ha infatti autorizzato i primi bombardamenti contro lo Stato Islamico e l’invio di aiuti umanitari alle popolazioni in fuga.
Negli ultimi mesi del 2014 l’Isis ha operato principalmente entro i confini del medio-oriente, distruggendo la moschea di Giona a Mossul, massacrando e schiavizzando più di 10.000 individui appartenenti alle minoranza islamiche degli yazidi, degli sciiti e dei turcomanni, e tenendo sotto assedio per mesi la città curda di Kobanê, sul confine turco, controllata dai peshmerga.
Tra gennaio e febbraio del 2015 il califfato è penetrato in Libia conquistando parzialmente Sirna e Derna e infiltrandosi persino a Tripoli, la capitale. Tale posizione, oltre a porlo direttamente a sud del nostro paese, gli ha conferito un controllo pressoché totale sulle due principali rotte di immigrazione verso l’Europa: quella balcanica, dalla Siria, e quella mediterranea. Contemporaneamente lo Stato Islamico ha operato una sistematica distruzione di monumenti, templi ed edifici storici e religiosi considerati patrimonio dell’umanità, e si è alleato con Boko Haram, un movimento integralista jihadista operante in Nigeria, tristemente famoso per le sue stragi. Ma naturalmente ciò che più ne caratterizza l’avanzata è la lunga serie di esecuzioni e attentati che su cui è stata basata una brutale propaganda mediatica che alcuni canali televisivi hanno addirittura deciso di non trasmettere.
Infatti dall’agosto del 2014, iniziano a essere pubblicati su Youtube dei video in cui alcuni affiliati dell’Isis decapitano fotoreporter, giornalisti, attivisti, ex-soldati e ostaggi di nazionalità americana, britannica e giapponese. Particolare scalpore viene fatto dall’esecuzione del 3 gennaio 2015 del pilota giordano Mu’adh al-Kasasbeh, che viene arso vivo dentro a una gabbia. Nel corso di questi video lo Stato Islamico si pronuncia anche in atroci minacce nei confronti dei paesi occidentali e “crociati”; tra cui anche Roma e il Vaticano.
Oltre alla pubblicazione dei video delle esecuzioni, lo Stato Islamico fa uso regolarmente di altri social media come Twitter dimostrando una forte presenza dell’organizzazione sulla rete.
GLI ATTENTATI
L’attività terroristica dell’Isis è andata incrementando vertiginosamente dalla proclamazione del califfato.
Lo Stato Islamico ha colpito in maniera indiscriminata ogni parte del globo, attentando in Europa, negli Stati Uniti, in Medio-Oriente, nel Nord-Africa e persino in Indonesia, ai danni non soltanto di stati considerati “infedeli”, ma anche e soprattutto di altri paesi di fede islamica che non sono sotto il suo controllo. Vanno ricordati soprattutto l’assalto al museo del Bardo a Tunisi del 28 marzo 2015 (24 morti e 45 feriti), l’attentato di Susa, sempre in Tunisia (39 morti e 38 feriti), quello di San Bernardino negli Stati Uniti (14 morti), e i più recenti attacchi in Libia, a Baghdad, Istanbul e Giacarta, che hanno provocato centinaia di vittime.
La capitale francese di Parigi è stata colpita due volte nel corso del 2015: la prima il 7 gennaio, quando è stato compiuto un attentato contro la sede del giornale satirico Charlie Hebdo, che ha provocato 12 morti e 11 feriti. La seconda il 13 novembre, nel I, X e XI arrondissement di Parigi, e allo Stadio di Francia a Saint-Denis. Questo secondo attentato, operato attraverso sparatorie in diversi luoghi pubblici, la più sanguinosa delle quali al teatro Bataclan, ha provocato più di 130 morti e 368 feriti, ed è considerato non solo la più cruenta aggressione al territorio francese dalla seconda guerra mondiale, ma anche il più grave atto terroristico nei confronti dell’Unione Europea dopo quello dell’11 marzo 2004 a Madrid. Entrambi gli attacchi contro Parigi hanno sollevato l’opinione pubblica di tutto il mondo, che si è unita contro la brutalità dello Stato Islamico e a difesa dei mussulmani non jihadisti inevitabilmente coinvolti dall’odio generale; grande rilievo in tal senso è stato assunto soprattutto dai social media quali Facebook e Twitter, che hanno indetto diverse campagne virali per la sensibilizzazione, tra le quali ricordiamo #jesuischarlie, #prayforparis e #notinmyname.
Il 31 ottobre 2015 viene inoltre abbattuto un aereo passeggeri russo con 224 persone a bordo, provocandone la morte. Francia e Russia hanno considerato questi attacchi una vera e propria dichiarazione di guerra e hanno intensificato i loro interventi contro le roccaforti dell’Isis sostenuti dalla Turchia, che nel gennaio 2016 ha iniziato a bombardare le postazioni dello Stato Islamico in Siria e in Iraq in risposta ai più recenti attentati.
CHI COMBATTE CHI
Come abbiamo detto, l’Isis controlla un’area compresa tra la Siria e l’Iraq. Tuttavia, sono molte le fazioni che si contendono questo territorio e sono ancora di più gli stati stranieri che si sono aggiunti ai combattimenti. Cerchiamo di fare un po’ d’ordine.
In Siria, sono in guerra con l’Isis sia l’esercito del regime dittatoriale di Bashar al-Assad (che controllava l’intero paese prima dell’inizio del conflitto civile) sia una serie di gruppi di ribelli, più o meno moderati. In Iraq invece è l’esercito iracheno a cercare di fermare l’avanzata dello Stato Islamico. Ma chi sta facendo di più contro l’Isis sono i Curdi, un popolo che da anni reclama uno stato a cavallo tra Siria, Iraq, Iran e Turchia.
Il quadro si complica ulteriormente se aggiungiamo gli stati stranieri che, per un motivo o per l’altro, si sono immischiati in questo conflitto. Tuttavia, essi prendono parte alle operazioni soltanto attraverso bombardamenti aerei e aiuti alle parti in campo. Fra chi impiega i propri caccia troviamo in primis gli Stati Uniti, ma anche alcuni stati europei come la Francia e il Regno Unito, alcuni stati arabi come l’Arabia Saudita, oltre alla Russia e alla Turchia. Paesi come il nostro, invece, hanno assunto un ruolo prevalentemente di supporto, impiegando aerei soltanto di ricognizione, inviando istruttori militari all’esercito iracheno oppure fornendogli delle armi.
Anche se i paesi a intervenire sono molti, spesso i loro obiettivi non coincidono e molto lascia pensare che la sconfitta dello Stato Islamico non sia la priorità assoluta per nessuno di loro. Per esempio, molti esperti sostengono che senza un intervento di terra, con i cosiddetti “scarponi sul terreno”, sia molto difficile riuscire a sconfiggere l’Isis. Infatti, i guerriglieri dello Stato Islamico si nascondono in cunicoli sotterranei o si confondono tra la popolazione civile. In questo modo, i bombardamenti aerei rischiano spesso di colpire persone innocenti, ampliando il consenso verso il califfato. L’intervento di terra è però precluso dalla contrarietà della popolazione occidentale, che difficilmente accetterebbe i costi in termini di vite umane che una guerra comporta.
A complicare ulteriormente la situazione sono i diversi interessi delle parti in gioco. Ad esempio, gli stati occidentali e la Russia sono in disaccordo sulla figura di Assad. Se l’occidente lo vede come un dittatore sanguinario da abbattere, per Putin è un alleato fondamentale in Medio Oriente. Tant’è che la Russia, nei suoi raid aerei, oltre l’Isis colpisce anche i ribelli che a loro volta combattono contro l’Isis. Anche la Turchia, almeno fino a prima di un attentato dell’Isis sul suo territorio, era piuttosto tenera con il califfato, dato che il suo nemico principale è il regime di Assad. Inoltre sia la Turchia che l’Iraq vedono i curdi di cattivo occhio, dato che essi reclamano parte del loro territorio per sé. Infine, tra i gruppi di ribelli anti-Assad è difficile distinguere quelli più moderati, appoggiati dall’Occidente, da quelli più radicali.
CONTROVERSIE
Le ragioni per cui l’Isis è diventato il protagonista geopolitico e mediatico del conflitto in Siria, nonostante vi siano numerose altre parti in gioco, vanno senza dubbio ricercate nelle diverse controversie di cui si è fatto protagonista. A partire dalle violazioni dei diritti umani, per finire con le persecuzioni religiose, le accuse di violenze sessuali, i crimini di guerra e i conflitti con gli altri gruppi siriani.
Numerose speculazioni sono state aperte su chi fossero i sostenitori e finanziatori del gruppo terroristico, che a oggi resta il gruppo jihadista più ricco del mondo, anche se il difficile panorama degli equilibri medio-orientali rende complicato dare una risposta certa. Alcuni ricercano tali relazioni nel governo siriano stesso, che non ha mai bombardato le basi dello Stato Islamico.
I fondi in suo possesso provengono per la gran parte dalle attività di rapimento, contrabbando, produzione di petrolio ed estorsione, ma in molti evidenziano la presenza di donazioni provenienti dall’estero. È risaputo che il gruppo gode della presenza di finanziatori privati provenienti dagli Stati del Golfo (Arabia Saudita e Qatar in primis). Quello che sappiamo per certo è che l’America ha finanziato l’Esercito Libero Siriano, contro il regime di Assad, prima che in migliaia si unissero allo Stato Islamico, portando con sé gli armamenti che possedevano in precedenza.
CONCLUSIONE
L’ultimo anno ha visto una crescita pericolosa ed esponenziale dello Stato Islamico, che ha dominato i media di tutto il mondo e destato preoccupazioni in ogni angolo del globo. Il vertiginoso aumento negli attentati ha riportato in auge il terrorismo di matrice islamica che sembra ancora lungi dall’essere sconfitto a causa della fermezza degli interessi e degli equilibri geopolitici che interessano il territorio medio-orientale. Quello stesso intreccio che ha partorito l’Isis, ma che non sembra in grado di poterlo regolare, né tanto meno di mettergli un freno.
Voi come interverreste? Quali sono le prospettive che vi spaventano di più di un ampliarsi dell’influenza dell’Isis? Fatecelo sapere nei commenti.
Il capitolo “Chi combatte chi” è stato scritto da Fabio Fontana.