Il prossimo 4 dicembre i cittadini italiani saranno chiamati ad esprimersi sulla riforma della Costituzione voluta dal governo Renzi. In questo video, vi presentiamo una spiegazione concisa ma completa della riforma e le principali ragioni dei favorevoli e dei contrari.

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Il prossimo autunno tutti i cittadini italiani maggiorenni saranno chiamati alle urne per dire la loro sulla riforma della Costituzione fatta dal governo Renzi. Il parlamento ha dato il suo via libera lo scorso aprile, ma non avendo raggiunto i due terzi dei voti come previsto in questi casi, l’ultima parola spetta ai cittadini.

La Costituzione è la legge fondamentale dello stato, ciò significa che non solo deve essere rispettata da tutti i cittadini, ma anche che tutte le altre leggi che vengono quotidianamente approvate dal parlamento non possono essere in contrasto con essa.

La riforma di Boschi e Renzi modifica solo la seconda parte della carta costituzionale, cioè quella che tratta l’organizzazione dello stato, mentre la prima parte, sui diritti e doveri dei cittadini, rimane praticamente intatta.

Attenzione perché in questo caso, a differenza di quanto previsto per i referendum abrogativi, non c’è quorum, quindi il risultato del voto sarà valido in ogni caso, che voti il 10 oppure il 90% degli aventi diritto.

Vediamo ora cosa prevede la riforma e quali sono le ragioni dei favorevoli e dei contrari.

CAPITOLO 1 – LA RIFORMA

Il senato. Il cambiamento più importante che viene apportato alla costituzione riguarda il Senato. Oggi in Italia vige il cosiddetto bicameralismo perfetto o paritario. Ciò significa che la Camera e il Senato hanno gli stessi poteri e le stesse funzioni. La riforma prevede invece che il Senato rappresenti le istituzioni locali e abbia una composizione e delle funzioni diverse da quelle di oggi. Innanzitutto, il nuovo senato sarà composto da 100 membri (rispetto ai 315 attuali): 74 consiglieri regionali, scelti in base alla loro elezioni, 21 sindaci selezionati sempre dalle regioni e 5 personalità nominate dal presidente della repubblica “per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”. I rappresentanti delle regioni e i sindaci rimarranno in carica per la durata dei consigli regionali che li hanno eletti, mentre il mandato dei senatori scelti dal capo dello stato durerà 7 anni. Un’importante novità è che i senatori non riceveranno alcuna indennità, se non quella percepita come consiglieri regionali o come sindaci.

Anche il ruolo del Senato nel processo legislativo cambia radicalmente. Oggi, tutte le proposte di legge devono essere discusse e votate da entrambe le camere e, se una apporta delle modifiche, il testo deve tornare all’altra camera per essere approvato nello stessa identica formulazione. Questo procedimento è conosciuto con il nome di “navetta”. La riforma prevede che la navetta rimanga soltanto per le leggi che modificano o attuano la Costituzione e per quelle legate ai rapporti con gli enti locali o l’Unione Europea. Per tutte le altre, il potere decisionale spetterà alla sola Camera dei deputati, mentre il Senato svolgerà un ruolo principalmente consultivo. In che modo? Per ogni nuova legge approvata dalla Camera, un terzo dei senatori potrà chiedere che sia esaminata anche dal senato, che avrà 30 giorni per farlo. E se decide di proporre delle modifiche, il testo torna alla Camera per il voto definitivo.

Ci sono in realtà dei casi particolari: ad esempio, per le materie di interesse regionale, la legge viene trasmessa automaticamente al senato e, se esso propone delle modifiche a maggioranza dei suoi componenti, la Camera le può respingere solo con lo stesso tipo di maggioranza. Ci sono poi la legge di bilancio, i cui termini per la discussione in senato si riducono a 15 giorni, e altre materie la cui competenza è esclusivamente della Camera.

Il governo. Un’altra parte della riforma riguarda il governo. A partire dall’atto che ne sancisce l’insediamento, cioè la fiducia da parte del parlamento, che non sarà più data da entrambe le camere ma soltanto dalla Camera dei deputati. Inoltre, la riforma prevede alcuni limiti ai decreti legge, cioè quegli atti che l’esecutivo può emanare in casi di urgenza e hanno forza di legge, anche se devono essere poi confermati dal parlamento. D’altro canto però viene prevista una corsia preferenziale in parlamento per i disegni di legge che il governo giudica urgenti. La Camera avrà 5 giorni per dire se condivide l’urgenza e poi altri 70 giorni per deliberare.

I rapporti stato-regioni. La riforma del governo Renzi mette mano anche alla distribuzione dei poteri fra stato e regioni, il famoso Titolo V della Costituzione, che è già stato modificato con un’altra riforma e un altro referendum costituzionale nel 2001. In quella occasione, si conferì alle regioni il potere di legiferare in molti settori, stabilendo quali materie fossero di competenza statale, su quali vi fosse una competenza concorrente e lasciando tutte le altre materie alle regioni. La competenza concorrente, in base alla quale allo stato spetta stabilire i principi generali mentre poi la regione deve disciplinare in modo più specifico, ha sempre creato dei conflitti fra lo stato e le regioni su chi dovesse decidere cosa. Così la riforma prova a risolvere questo problema, abolendo la competenza concorrente e distribuendo le diverse materie fra l’uno e le altre. Inoltre, lo stato si riprende alcune competenze, come quelle sull’energia, sul commercio con l’estero e sulle grandi infrastrutture, mentre alle regioni rimangono principalmente la sanità, la pianificazione del proprio territorio e lo sviluppo economico locale. Viene inoltre introdotta una clausola per la quale lo stato può riservarsi di decidere su materie di competenza regionale se c’è in ballo l’interesse nazionale. Infine, viene stabilito un tetto agli emolumenti del presidente e dei consiglieri regionali pari allo stipendio del sindaco del capoluogo, oltre a venire vietati i rimborsi spese ai gruppi consiliari, il cui uso spregiudicato degli ultimi anni ha attirato le attenzioni della magistratura.

Gli altri punti. Vediamo in breve altri punti della riforma.

– Vengono apportati dei cambiamenti agli strumenti di democrazia diretta. Le leggi di iniziativa popolare, per essere presentate, avranno bisogno di 150 mila firme invece delle attuali 50 mila. I referendum abrogativi, se saranno promossi con 800 mila firme invece delle solite 500 mila, potranno godere di un quorum più basso di quello normale: non più il 50% degli aventi diritto, ma il 50% dei votanti alle ultime elezioni politiche. Inoltre si fa riferimento a referendum propositivi e consultivi, che però dovranno essere disciplinati con un’ulteriore legge costituzionale.

– Viene in parte cambiato il modo in cui si elegge il presidente della Repubblica. Fino ad ora Camera e Senato si riunivano in seduta comune insieme a 58 delegati regionali. Con la riforma, le regioni non avrebbero più i loro delegati, in quanto sarebbero rappresentate dagli stessi senatori. Cambia anche la maggioranza richiesta per l’elezione. Fino ad oggi, erano richiesti i 2/3 dei componenti per i primi 3 scrutini e la metà più uno dei componenti per i successivi. Con la riforma rimangono i 2/3 dei componenti fino al terzo scrutinio, che poi diventano 3/5 dei componenti dal 4° al 6° e 3/5 dei votanti dal 7° in poi.

– Viene previsto un giudizio preventivo della corte costituzionale sulla legge elettorale prima della sua promulgazione, se lo richiedono un quarto dei deputati o un terzo dei senatori.

– Vengono aboliti il Cnel e le province. Il Cnel è un organo consultivo composto da rappresentanti delle parti sociali ed esperti che ha il potere, peraltro mai esercitato, di iniziativa legislativa. Questo organismo fu creato insieme alla costituzione, appena dopo la guerra, per riprendere un po’ il ruolo della Camera dei fasci e delle corporazioni. Tuttavia, non ha mai svolto un ruolo effettivo e quindi da molto tempo si voleva abolirlo. Per quanto riguarda le province, di fatto non si votano più da alcuni anni e ora le si abolisce del tutto.

CAPITOLO 2 – PRO E CONTRO

La campagna per il referendum di questo autunno è condotta dai comitati per il SÌ e quelli per il NO.

A favore della riforma, si sono schierati naturalmente i partiti che l’hanno votata in parlamento: il Partito Democratico, Ncd e Ala di Verdini. La minoranza del Pd è però poco convinta, perché avrebbe preferito che i senatori fossero eletti direttamente dai cittadini. Ai partiti si sono aggiunti 184 accademici che hanno firmato un documento a sostegno della riforma.

Sul fronte del no, troviamo invece i partiti di opposizione: Movimento 5 Stelle, Lega Nord, Forza Italia, Fratelli d’Italia e Sinistra Italiana. Un gruppo di 56 accademici, in questo caso tutti costituzionalisti tra cui diversi ex giudici della corte costituzionale, hanno sottoscritto una lettera per esprimere i motivi del loro dissenso.

Le ragioni di merito. Ma veniamo alle ragioni sostenute dalle due parti, iniziando dal merito della riforma. Tra i favorevoli, si sostiene che la carta costituzionale abbia bisogno di un aggiornamento, fermi restando i principi di base, che rimangono immutati. È da 30 anni che si creano commissioni parlamentari con questo intento, le quali si pongono come priorità proprio quelle di superare il bicameralismo paritario, con il meccanismo della navetta, e di aggiustare il Titolo V sui rapporti fra stato e regioni.

Dalla parte dei contrari, molti condividono la necessità di superare il bicameralismo paritario ma non in questo modo. Infatti, si sostiene che il progetto del governo rischi di complicare il procedimento legislativo invece di semplificarlo, proprio per le numerose modalità in cui può svolgersi, con tutte le eccezioni e i casi particolari che sono stati previsti. Inoltre, si teme che il nuovo senato non riuscirà a perseguire il suo principale obiettivo, cioè quello di rappresentare efficacemente le regioni, a causa di come è disegnato. Altri affermano che i senatori avranno ancora troppi poteri per essere rappresentanti non eletti direttamente dai cittadini.

Il fronte del sì respinge queste argomentazioni, aggiungendo che la riforma permetterà di approvare le leggi più rapidamente e di risparmiare alcune centinaia di milioni di euro dall’eliminazione dell’indennità dei senatori (cioè la parte principale del loro stipendio), dall’abolizione del Cnel e delle province, dal tetto ai compensi dei consiglieri regionali e dalla soppressione dei finanziamenti ai gruppi consiliari.

I contrari alla riforma ribattono che l’Italia ha già più leggi di molti altri paesi europei e che i risparmi saranno inferiori, nell’ordine di poche decine di milioni, un euro a cittadino o poco più, ed inoltre quando si parla di istituzioni che fanno funzionare la democrazia, non si dovrebbe ragionare in termini di costi monetari.

Le ragioni di metodo. Venendo al metodo con cui la riforma è stata approvata, i contrari affermano che il governo ha sbagliato a farsi promotore del cambiamento della Costituzione, dato che questo è un compito tradizionalmente riservato al parlamento. Inoltre, la riforma è stata approvata dalla sola maggioranza di governo, senza accordi con le opposizioni.

I favorevoli rispondono che non è scritto da nessuna parte che il governo non possa occuparsi della Costituzione ed inoltre si è provato a coinvolgere le opposizioni ma queste hanno fatto delle barricate. In particolare, Forza Italia aveva votato la prima versione della riforma, salvo poi cambiare idea per motivi non legati al suo contenuto.

Dal fronte del no, una delle principali critiche riguarda la trasformazione del referendum in un plebiscito sulla figura di Matteo Renzi, dato che il premier ha pubblicamente annunciato che si dimetterà in caso di sconfitta.

Le ragioni politiche. Ci sono infine delle ragioni politiche che dividono i due fronti. Dalle file del no, si alzano alcune voci che evocano addirittura un rischio di autoritarismo. Certo, non tutti i contrari alla riforma condividono questo allarme, però viene comunque riconosciuto un danno all’equilibrio dei poteri, generato dall’effetto combinato di questa riforma e delle nuova legge elettorale. Infatti, il cosiddetto Italicum darà il controllo della Camera all’unico partito vincitore delle elezioni, anche se questo avrà ottenuto solo il 20-25% dei voti al primo turno. In più, con la riforma costituzionale, non ci sarà più nemmeno un senato in grado di garantire un giusto contrappeso. Il risultato, secondo il fronte del no, sarà un accentramento dei poteri nelle mani del governo.

I sostenitori del sì ribadiscono che il referendum è sulla riforma costituzionale e non su quella elettorale e comunque, a loro avviso, parlare di rischio di autoritarismo è assurdo, poiché nelle democrazie moderne esistono tutta una serie di contrappesi, come il presidente della repubblica e la corte costituzionale.

CONCLUSIONE

Come abbiamo detto, la Costituzione è la legge fondamentale di uno stato. Contiene i diritti e i doveri dei cittadini e stabilisce quali istituzioni servono per far funzionare la democrazia. Per questo, il referendum è così importante. E per questo, è così importante andare a votare.

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