Fabio Fontana

madama_facciata02

Attenzione! Qui si parla della prima versione della riforma costituzionale proposta dal governo Renzi. Nei successivi passaggi parlamentari la riforma si è modificata sostanzialmente. Clicca qui per il video e l’articolo aggiornato.

 

Uno dei temi di dibattito politico più caldi è la riforma della composizione e dei poteri del Senato, una delle due camere di cui è composto il nostro parlamento.
Per eliminare la ridondanza di due camere che fanno lo stesso lavoro, lo scorso 31 marzo, il governo Renzi ha presentato un disegno di legge costituzionale che, tra le altre cose, include proprio una trasformazione del senato. Ecco cosa prevede il progetto dell’esecutivo.

Continua a leggere

Condividi

Negli ultimi tempi, in Italia, si parla molto di riformare il Senato, una delle due camere di cui è composto il nostro parlamento.
Lo stesso governo Renzi ha proposto di trasformare il Senato in un Senato delle autonomie locali, con minori poteri rispetto alla Camera dei deputati. Ma perché esistono due camere e che poteri hanno attualmente?

Fin dalla loro nascita, i parlamenti hanno avuto più camere, ossia più organi assembleari, distinti in una camera alta e una camera bassa.
Il primo parlamento al mondo che ebbe dei poteri reali fu quello inglese che era, ed è tutt’oggi, costituito da una camera dei Lord, che rappresenta la classe nobiliare ed è nominata dal sovrano, e la camera dei Comuni, che era espressione della borghesia e, a partire da un certo momento, cominciò ad essere eletta dal popolo.
Con l’avanzamento del processo di democratizzazione, il senso delle due camere è cambiato: la camera bassa ha cominciato ad essere espressione della nazione nella sua interezza e del principio della sovranità popolare e la camera alta ha iniziato a rispondere al principio dell’autonomia degli enti locali o degli stati federati. Anche in Italia è così, seppur in modo attenuato: l’articolo 57 della costituzione stabilisce che la nostra camera alta, il Senato della Repubblica, è eletto “a base regionale”, mentre l’articolo 56 prevede che quella bassa, la Camera dei Deputati, sia eletta “a suffragio universale e diretto”.

Se ci sono due camere, come si dividono tra di loro i compiti da svolgere?
L’Italia è l’unico paese al mondo a prevedere un bicameralismo perfetto o paritario. Ciò significa che le due camere hanno esattamente gli stessi poteri. Tutte le decisioni devono essere prese insieme da Camera e Senato.
In tutte le altre democrazie, vige invece il bicameralismo imperfetto, in cui le due camere hanno funzioni differenziate: la camera bassa è quella che ha il potere più ampio, mentre la camera alta ha delle funzioni minori. Per esempio, il compito di dare la fiducia al governo (cioè la facoltà di decidere della sua vita o della sua morte) spetta solo alla camera bassa. Inoltre, spesso la camera alta non influisce nel processo di formazione delle leggi, se non con dei pareri o con la possibilità in certi casi di chiedere un riesame delle decisioni prese dalla camera bassa.
Allo stesso tempo, la camera alta può essere dotata di poteri di raccordo tra lo stato e le autonomie locali o gli stati federati, in modo da garantire un equilibrio tra gli organi centrali e quelli periferici.

Ma il modello bicamerale non è l’unico esistente. È vero, è quello adottato dalle democrazie più popolose, ma il maggior numero di parlamenti al mondo è monocamerale: una sola camera detiene tutti i poteri. Anche in Europa, alcuni paesi come la Grecia, il Portogallo o la Danimarca hanno scelto questo sistema.
Un pregio del monocameralismo è quello di rispecchiare il principio affermato con la rivoluzione francese dell’indivisibilità della sovranità popolare.
Tra le ragioni, invece, che giustificano il bicameralismo vi è quella di evitare la concentrazione di potere in un solo organo collegiale creandone un secondo che faccia da contrappeso. Inoltre, l’esame da parte di due camere, garantisce alle leggi una maggiore ponderazione che dovrebbe assicurare una qualità legislativa più alta.
Ma questo meccanismo rischia di rendere più lento l’iter legislativo o a creare dei gironi danteschi, come avviene in Italia con la cosiddetta “navetta”, ossia il procedimento che costringe un progetto di legge a fare avanti e indietro tra Camera e Senato finché non viene approvato nello stesso identico testo.

Scopri cosa prevede la riforma del Senato che ha proposto Renzi.

Condividi

Negli ultimi anni, nel cercare le cause di una delle peggiori crisi economiche di sempre, molti le hanno individuate nell’euro. Da allora, economisti e politici si sono divisi in pro e contro. Vediamo insieme come è nata questa moneta, quali sono i suoi problemi e se è possibile tornare alle vecchie divise nazionali.

L’euro nasce nel 1992 con il trattato di Maastricht, che stabilisce alcuni parametri che i paesi della cosiddetta eurozona avrebbero dovuto rispettare, tra cui il famigerato rapporto deficit/Pil al 3%. L’euro entra in vigore come valuta virtuale, ossia solo per i pagamenti elettronici, il 1° gennaio 1999. Da quel momento viene fissato il tasso di cambio con la lira: 1 euro sarebbe stato pari a 1936,27 lire. Dal capodanno del 2002, le monete e le banconote vere e proprie entrano in circolazione insieme alle lire. Questa convivenza non dura molto: dal marzo 2002 l’euro è l’unica moneta che può essere usata.
Inizialmente i paesi ad aderire all’euro sono 11 dei 15 membri dell’Unione Europea. Oggi sono saliti a 18 su 28.
A stampare la cartamoneta e a gestire il tasso ufficiale di sconto dell’euro è la Banca Centrale Europea, attualmente guidata dall’italiano Mario Draghi.

Vediamo ora quali sono i vantaggi e gli svantaggi, i pregi e i difetti dell’euro.
La principale ragione per cui l’euro è stato creato è che avrebbe permesso una maggiore integrazione europea.
Ma se è davvero tra le ragioni della crisi economica, ha anche favorito l’euroscetticismo che oggi dilaga.
L’euro ha permesso di creare un’alternativa al dollaro nel commercio internazionale, togliendo alla moneta americana il potere di fare il bello e il cattivo tempo sul mercato mondiale.
Inoltre, l’euro ha permesso di stabilizzare l’inflazione (cioè l’aumento dei prezzi) e, in un primo momento, ha abbassato i tassi di interesse sul debito pubblico.
Anche se, a partire dal 2011, gli altissimi valori dello spread, ovvero la differenza tra il tasso pagato sul debito italiano rispetto a quello pagato sul debito tedesco (quello più virtuoso nell’eurozona), è stato uno degli indicatori della crisi dei debiti sovrani.
Infatti, secondo molti, l’euro ha scatenato la crisi economica perché è una moneta unica per 18 economie diverse. E ciò è un problema dal momento che, se le economie più forti esportano di più verso le economie più deboli, queste ultime non possono ricorrere alla svalutazione del tasso di cambio della propria moneta nazionale e quindi sono costrette a ridurre i salari e tagliare il welfare.
Altri affermano però che il non poter più ricorrere alle svalutazioni monetarie spinge il paese a puntare sull’innovazione e sulle riforme, che nel lungo periodo sono l’unico fattore che fa crescere un paese.
Dall’altra parte, invece, si afferma che l’euro renderà i paesi del Sud Europa sempre più poveri e quelli del Nord sempre più ricchi. Ciò accade perché eurolandia non è un’Area Valutaria Ottimale, poiché non c’è mobilità dei fattori produttivi (è difficile che masse di lavoratori migrino all’interno dell’unione), non c’è convergenza dei tassi di interesse e tanto meno c’è integrazione fiscale (ovvero regimi di tassazione uniformi con redistribuzioni territoriali di ricchezza, come avviene in Italia tra il Nord e il Sud).
Alcuni però contestano che se i paesi del Nord Europa, come la Germania, rispondono bene alla crisi, è perché loro, a differenza dei paesi del Sud, hanno fatto le riforme necessarie, come quella del mercato del lavoro.

Facendo leva sui problemi legati all’euro, alcuni chiedono di intraprendere la via dell’uscita dalla moneta unica e di ritornare alle monete nazionali oppure adottare due monete, una per il Nord e una per il Sud Europa.
Ciò restituirebbe agli stati il potere di svalutare la propria moneta per incentivare le esportazioni.
Allo stesso tempo, però, le importazioni diverrebbero più costose, comprese quelle delle materie prime, comportando costi molti più elevati per le imprese nazionali e per i consumatori, che vedrebbero salire i prezzi dei beni di consumo, a causa di un aumento dell’inflazione.
D’altro canto, l’Italia riacquisterebbe la sovranità monetaria. Svincolandosi dal trattato di Maastricht, potrebbe attuare delle politiche in deficit e violare il celebre 3%; mentre Banca d’Italia si riprenderebbe il potere di controllare la politica monetaria e di comprare i titoli del debito pubblico.
Alcuni fanno però notare che una quota del debito rimarrebbe in euro e sarebbe più costosa da ripagare. Mentre ripudiarla sarebbe impensabile poiché, dal giorno dopo, i mercati internazionali ci volterebbero le spalle e nessuno acquisterebbe più titoli del nostro paese.
Ma il pericolo più grave dell’uscita dall’euro sarebbe la corsa agli sportelli che si verificherebbe non appena i risparmiatori avessero il minimo sentore di ciò che potrebbe succedere. Tutta la popolazione andrebbe in banca a ritirare i propri euro o a trasferirli all’estero prima che vengano trasformati in lire di minor valore. E anche i titoli del debito pubblico sarebbe venduti in massa, mandando il bilancio pubblico in default, in fallimento.
Per evitare tutto ciò, l’uscita dall’euro dovrebbe essere fatta all’improvviso e nel giro di pochissimo tempo.
I fautori della permanenza nell’euro propongono alcune soluzioni alternative all’uscita dalla moneta unica come la condivisione di parte del debito degli stati, una banca centrale che possa acquistare i titoli dei paesi membri, un quadro fiscale unico e, in sostanza, una maggiore integrazione europea. Ciò resta però altrettanto difficile in un contesto come quello attuale.

Nell’agone politico, le diverse forze non hanno tardato a prendere posizione sull’euro e sull’ipotesi dell’uscita dalla moneta unica.
Quasi tutti i partiti principali si sono schierati per la permanenza nell’unione monetaria, proponendo però soluzioni alternative come l’acquisto da parte della Bce dei titoli di stato.
Ad appoggiare l’ipotesi dell’uscita dall’euro sono invece Fratelli d’Italia e soprattutto la Lega Nord, che lo ribadisce anche nel suo simbolo.
Il Movimento 5 Stelle invece propone da tempo un referendum sulla permanenza nell’euro, anche in modo da favorire il dibattito a riguardo.

Condividi

L’Italia è un paese strano. Non le basta chiudere le urne un’ora dopo tutti gli altri stati europei, domenica prossima, mandando in fumo i piani di Bruxelles per far seguire lo spoglio del voto in diretta in tutta l’Unione Europea. Un’altra caratteristica peculiare del Belpaese (e anche del Mozambico, per essere precisi) è quella di proibire la diffusione dei sondaggi politico-elettorali nelle due settimane che precedono il voto, come previsto da una delle leggi sulla par condicio.

Continua a leggere

Condividi

Si dice che questa sia la prima campagna elettorale europea in cui si discute davvero di temi europei. In realtà si parla solo di Euro e dei compiti e castighi che l’Europa ci assegna. Ma il funzionamento dell’Unione Europea è sconosciuto a molti.

Dal 1979, i cittadini dell’unione sono chiamati ad eleggere il parlamento europeo. Questa definizione è però fuorviante dal momento che il parlamento dell’unione non assume le decisioni da solo.
Quello europeo è l’unico parlamento al mondo che non ha il potere di fare proposte di legge. Questo compito spetta alla Commissione che crea le proposte di legge e le invia al Parlamento Europeo e al Consiglio dell’Unione Europea, che le devono approvare nello stesso testo.
La commissione europea è il governo dell’unione, il presidente della commissione è scelto dal Consiglio europeo. Egli dovrà poi nominare i commissari (il corrispettivo dei ministri) e ottenere la fiducia sia del Consiglio dell’Ue sia del Parlamento.
Il Consiglio dell’Unione Europea è l’organo che riunisce i ministri dei 28 stati membri della materia in discussione.
Il Consiglio dell’Ue non è da confondere con il Consiglio europeo, che è l’organo che riunisce i capi di stato o di governo di tutti i paesi membri ed è il vero motore dell’unione in quanto stabilisce le priorità politiche, specie quelle volte a favorire l’integrazione, e non si deve confondere nemmeno con il Consiglio d’Europa, un’organizzazione esterna all’Unione Europea che promuove i diritti umani.

Dal 22 al 25 maggio si tengono in tutta l’unione le elezioni per scegliere i 751 membri del nuovo parlamento.
In Italia, le urne apriranno domenica 25 maggio dalle 7 alle 23. Il sistema elettorale italiano per il parlamento europeo è di tipo proporzionale, quindi i 73 seggi spettanti all’Italia, saranno ripartiti in base ai voti presi da ogni partito che abbia superato la soglia del 4% a livello nazionale. Il territorio italiano è diviso in 5 circoscrizioni: nord-ovest, nord-est, centro, sud e isole. In ciascuna di esse, ogni partito presenta una propria lista di candidati, tra cui l’elettore può esprimere fino a 3 preferenze e, questa è la novità di questa tornata elettorale, almeno una deve essere di sesso diverso dalle altre, pena l’annullamento della terza preferenza.
I partiti che si presentano alle elezioni europee sono quelli nazionali e, una volta eletti, confluiscono in raggruppamenti formati con i partiti degli altri paesi.

Nell’emiciclo del parlamento europeo, a farla da padroni sono la sinistra e la destra europee: il partito di Socialisti e Democratici, che ha aggiunto quest’ultimo termine al proprio nome proprio per accogliere il Partito Democratico italiano, e il Partito Popolare Europeo, in cui convergeranno Forza Italia, Nuovo Centro Destra e Südtiroler Volkspartei. Al centro troviamo l’Alde, i liberali europei, per i quali si presenta in Italia Scelta Europea, una lista di cui fanno parte Scelta Civica, Fare per fermare il declino e Centro Democratico. Nell’ala sinistra abbiamo anche i Verdi, il cui rappresentante italiano è Green Italia, e la Sinistra Unita, per la quale nel nostro paese si presenta la lista L’Altra Europa con Tsipras, promossa da alcuni intellettuali e partiti della sinistra. Alla destra del Ppe, invece, ci sono i conservatori, gli Euroscettici, in cui troviamo la Lega Nord, e il gruppo dei “non iscritti”, in cui sono presenti gruppi che non si riconoscono nelle altre formazioni e sono spesso anch’essi euroscettici. Nei “non iscritti”, una sorta di gruppo misto europeo, probabilmente confluiranno il Movimento 5 Stelle e Fratelli d’Italia.
Per la prima volta, votare per un partito significherà votare anche per il candidato presidente alla Commissione europea che quel partito propone. I candidati si sfideranno in un confronto tv in Eurovisione il 15 maggio, condotto da Monica Maggioni, direttrice di RaiNews24.

Condividi
Condividi