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Nel novembre del 2014 abbiamo pubblicato un primo video che riassume l’origine e le caratteristiche dell’organizzazione terroristica denominata Isis. Da quel momento la situazione è cambiata drasticamente e lo Stato Islamico si è fatto sempre più minaccioso, attaccando direttamente alcune delle più grandi capitali del mondo e dando un nuovo volto al terrorismo. Vediamo insieme che cos’è successo e quali sono le ragioni per cui l’Isis è così temuto.

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Se fino a qualche mese fa, il problema di accogliere i migranti era soltanto di Italia e Grecia, ora l’Europa si sta accorgendo che questo fenomeno coinvolge l’intero continente. E trovare una soluzione non risulta affatto semplice. Cerchiamo allora di scavare più a fondo nella questione.

LE ROTTE. Fino a qualche tempo fa, la rotta principale per giungere in Europa era quella mediterranea. I migranti partono dall’Africa subsahariana, spesso da paesi sconvolti dalla guerra come Eritrea, Niger e Somalia; raggiungono tra mille difficoltà la Libia e da qui salpano su barconi fatiscenti alla volta di Italia, Malta e Grecia. Il tutto pagando cifre molto alte e rischiando la propria vita, sia durante il tragitto in mare sia sulla terraferma, dal momento che passano per le mani di spietati trafficanti di esseri umani.

Negli ultimi mesi però, si è aggiunta un’altra rotta: quella balcanica. A percorrerla, sono soprattutto siriani e afghani che salpano dalla Turchia e raggiungono le isole greche in poco tempo, ma poi devono attraversare tutti i Balcani, passando dalla Grecia in Macedonia e poi in Serbia, dove tentano di entrare in Ungheria, il primo paese dell’Unione Europea dopo la Grecia. Da qui, grazie all’area di libera circolazione creata con gli accordi di Schengen, possono muoversi liberamente e raggiungere la loro meta, di solito l’Austria, la Germania o la Svezia. Continua a leggere

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Lo scorso 4 maggio, tra le proteste delle opposizioni e anche di parte della maggioranza di governo, è stato approvato l’Italicum. La nuova legge elettorale voluta da Renzi trasformerà radicalmente il sistema politico così come lo conosciamo oggi. Vediamo cosa prevede la nuova normativa e quali sono i suoi aspetti positivi e negativi.

La legge

In un precedente video, vi abbiamo parlato dei due tipi di sistema elettorale esistenti: proporzionale e maggioritario. L’Italicum è una via di mezzo: di base è un proporzionale ma è corretto in modo da produrre effetti maggioritari. Ma andiamo per ordine.
Il territorio nazionale, escluse Val d’Aosta e Trentino che manterranno il sistema uninominale, viene diviso in 20 circoscrizioni, che corrispondono in linea di massima alle regioni. Queste vengono poi divise ulteriormente in un totale di 100 collegi a livello nazionale. In ogni collegio, le diverse liste presenteranno dai 3 ai 9 candidati. Gli elettori troveranno sulla scheda elettorale il simbolo del partito con, alla sua sinistra, il nome del capolista bloccato, e alla sua destra, due righe per esprimere una o due preferenze tra i candidati della lista. Nel caso siano due, la seconda deve per forza essere di sesso diverso dalla prima, pena il suo annullamento. I capilista possono inoltre presentarsi in più collegi, fino a 10, per la precisione.
Ma come avviene la ripartizione dei seggi in parlamento? Il calcolo è su base nazionale e, come abbiamo detto, il procedimento è proporzionale. Tuttavia ci sono dei correttivi. Uno di questi è la soglia di sbarramento, che impedisce alle liste che hanno preso meno del 3% di ottenere dei seggi. L’altra correzione è il premio di maggioranza. Infatti, alla lista che arriva prima vengono assegnati 340 seggi (il 55% circa), a patto che essa giunga da sola al 40% dei voti. In caso contrario, si procederà ad un ballottaggio, cioè ad un secondo turno di votazioni, due settimane dopo il primo, a cui accederanno solo i due partiti più votati, senza possibilità di apparentarsi con altri come avviene a livello locale. Il vincitore otterrà il premio di maggioranza.
Un’altra caratteristica della nuova legge è la possibilità per chi si trova fuori dai confini nazionali di votare per corrispondenza nella circoscrizione estero. Lo potrà fare chi sarà fuori per almeno 3 mesi per ragioni mediche, di lavoro o di studio (come gli studenti Erasmus).
Infine, una clausola dell’Italicum prevede che esso valga solo per la Camera dei Deputati ed entri in vigore il 1° luglio 2016, poiché si presume che, entro quella data, il Senato non sarà più elettivo, per effetto della riforma costituzionale in discussione.

La genesi

Benché si parli da anni della necessità di una nuova legge elettorale, essa è divenuta indispensabile dopo che, nel dicembre 2013, la Corte Costituzionale ha bocciato il sistema precedente, il Porcellum, trasformandolo in un proporzionale quasi puro, come quello della prima repubblica. Così, il neosegretario del Pd, Matteo Renzi, nel gennaio 2014 propone tre diversi modelli di legge elettorale. Su uno di essi trova l’accordo con Berlusconi e prende vita una prima bozza dell’Italicum, sancita nel cosiddetto “Patto del Nazareno”, dal nome della piazza vicina alla sede del Pd dove si sono incontrati.
Da quella prima versione, però, la legge elettorale ha subito diverse modifiche:

  • su spinta del Nuovo Centro Destra e dei popolari, la soglia di sbarramento per accedere alla ripartizione dei seggi è stata abbassata dalle soglie molto elevate inizialmente previste al 3% di oggi. Inoltre sono state ammesse le candidature in più collegi;
  • la minoranza del Pd ha invece ottenuto un innalzamento della soglia per ottenere il premio di maggioranza al primo turno dal 35 al 40%, oltre alla norma sulla parità di genere nelle liste;
  • Forza Italia dal canto suo, dopo le batoste elettorali delle europee a maggio e delle regionali nello scorso autunno, ha dovuto cedere sul premio alla lista piuttosto che alla coalizione. Il partito di Berlusconi ha dovuto fare un passo indietro anche sulle liste bloccate, sebbene le preferenze non si possano ancora esprimere sui capilista, come avrebbe voluto parte del Pd. D’altra parte, però, per tranquillizzare Forza Italia sul fatto che non ci saranno elezioni anticipate, il premier ha concesso che l’entrata in vigore della riforma avvenga solo a metà 2016.

Pro e contro

Vediamo ora le ragioni di chi è a favore e di chi è contrario alla nuova legge elettorale.
Il presidente del Consiglio Renzi sostiene fortemente la sua riforma, affermando che essa permetterà di creare fin da subito dopo le elezioni un governo stabile, senza dover ricorrere a litigiosi governi di coalizione o larghe intese. Ciò sarà permesso dal premio di maggioranza, che assegna circa il 55% dei seggi ad un solo partito, quello più votato.
Tuttavia, i politologi osservano che, in questi casi, lo scontro che prima esisteva tra i diversi partiti di una coalizione tende a spostarsi all’interno del partito di maggioranza, portando agli stessi risultati.
Il governo è anche venuto incontro alle opposizioni, introducendo le preferenze per scegliere molti dei candidati da eleggere. Inoltre, sono state previste delle misure per assicurare la parità di genere.
Tuttavia, i capilista restano decisi dai partiti. In questo modo, è molto probabile che la maggioranza dei deputati non sarà eletta direttamente dagli elettori.
Le opposizioni hanno poi lamentato l’approvazione della legge per mezzo di voti segreti e questioni di fiducia, strumenti parlamentari che servono per forzare il dibattito in aula e che non si addicono ad una legge così delicata come quella elettorale. Tant’è che i precedenti storici del voto di fiducia su una legge elettorale risalgono al fascismo e alla cosiddetta “legge truffa”.
L’approvazione dell’Italicum solo per la Camera, invece, ha ricevuto le critiche di alcuni giuristi. Il governo infatti dà per scontato che l’elettività del Senato verrà abolita dalla riforma costituzionale. Ma, se essa non dovesse andare in porto, ci troveremmo con due camere con gli stessi poteri ma con due maggioranze diverse e questo rappresenterebbe un grave problema per la governabilità.
Per quanto riguarda l’influenza che l’Italicum avrà sul sistema dei partiti, i suoi sostenitori prevedono che col tempo il panorama politico finirà per articolarsi su due grandi partiti, un po’ come succede negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, rendendo più semplice la scelta per gli elettori e più stabile il sistema nel suo complesso.
Tuttavia, altri non sono convinti che sia questo lo scenario più probabile. Credono invece che l’Italicum porterà il sistema indietro alla prima repubblica, con un grande partito di governo al centro (in particolare, il Pd) e alcune forze politiche agli estremi, che non riusciranno mai ad arrivare al governo.
Ma la critica più pesante che viene rivolta alla nuova legge elettorale è quella di accrescere a dismisura il potere del premier, trasformando di fatto il sistema parlamentare in uno quasi presidenziale, senza prevedere gli opportuni contrappesi che questo richiede, anche considerando l’imminente abolizione del bicameralismo.

Secondo i sondaggi, la questione della legge elettorale non è considerata una priorità dagli italiani. Questa posizione è comprensibile: i cittadini si aspettano che la classe politica faccia qualcosa per uscire dalla crisi economica e dare un lavoro a chi non ce l’ha. Tuttavia, l’assetto del sistema elettorale ha un’enorme influenza sulla possibilità di formare un governo stabile e rappresentativo, che possa occuparsi in modo efficace delle più importanti urgenze economiche. Se l’Italicum possa farlo, lo scopriremo solo alle prossime elezioni.

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Quella delle “grandi esposizioni” è una serie di eventi che si susseguono a cadenza quinquennale sin dal 1851, quando a Londra venne istituita la prima esposizione universale della storia. EXPO Milano 2015 non ne è che la tappa più recente, ospitata in Italia dal primo maggio al 31 ottobre di questo stesso anno e dedicata al tema dell’alimentazione, in particolare “nutrire il pianeta, energia per la vita”. Continua a leggere

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La politica internazionale non è mai tranquilla. Questioni come l’Isis, la crisi ucraina o il nucleare iraniano fanno perdere il sonno a molti leader politici. Ma c’è un gravissimo problema che può mettere a repentaglio la stessa sopravvivenza della specie umana, ed è perlopiù ignorato. Stiamo parlando del surriscaldamento globale. Vediamo di che si tratta, cosa rischiamo e come fare per evitare la catastrofe.

L’alterazione del clima terrestre dipende da un fenomeno che sta avvenendo nella nostra atmosfera. Se fino a qualche decennio fa i raggi solari attraversavano questo strato di gas che ricopre il pianeta per poi essere dispersi nello spazio; ora, l’atmosfera è diventata più densa e questo blocca il calore del Sole sulla Terra, alzando la temperatura. Per questo, si parla di effetto serra.
A cosa è dovuto tutto ciò? I responsabili sono alcuni gas, come l’anidride carbonica, il metano e il protossido di azoto, la cui concentrazione nell’atmosfera è cresciuta molto a partire dalla rivoluzione industriale in poi, a causa delle emissioni delle attività umane e a causa della deforestazione.
Uno studio europeo mostra che la presenza di Co2 nell’atmosfera è sempre variata negli ultimi 800 mila anni, ma rimanendo sempre sotto la soglia delle 300 parti per milione. A partire dalla rivoluzione industriale, però, ha cominciato la sua crescita impetuosa fino a raggiungere le 400 parti per milione di oggi.
La conseguenza di questo aumento l’abbiamo vissuta sulla nostra pelle negli ultimi anni, con inverni sempre più miti ed estati sempre più torride. Infatti, il periodo 1983 – 2012 è stato il più caldo degli ultimi 800 anni nell’emisfero boreale e la temperatura globale è cresciuta di 0,8 °C nell’ultimo secolo. Anche se questa cifra può sembrare trascurabile, non è così: gli scienziati ritengono che un aumento superiore ai due gradi possa avere effetti rovinosi sul delicato ecosistema terrestre.

Nonostante quello che si può pensare su due piedi, il surriscaldamento globale non comporta soltanto l’uso di creme solare con una protezione più alta. Ecco una rassegna di tutte le conseguenze, in parte già visibili, dell’effetto serra.
Lo scioglimento dei ghiacciai è un processo in corso da tempo che ha già provocato l’innalzamento del livello dei mari di 19 centimetri negli ultimi cento anni. Per la fine di questo secolo, l’aumento è previsto tra 26 e 82 centimetri. Ciò costringerà decine di milioni di persone che vivono sulle isole o sulle coste a migrare nell’entroterra.
I cambiamenti climatici nei diversi ecosistemi porteranno all’estinzione di molte specie animali e vegetali che essi ospitano. Si stima che un aumento del termometro globale tra 1,5 e 3,5 gradi possa causare una perdita della biodiversità tra il 20 e il 70%.
L’effetto più devastante è sul ciclo dell’acqua. Ogni grado di aumento della temperatura terrestre rafforza del 7% la capacità dell’atmosfera di trattenere l’umidità. Questo comporta precipitazioni di minor durata e meno frequenti ma molto più intense. Un assaggio di questo fenomeno l’abbiamo visto proprio nel nostro paese negli scorsi anni, con nubifragi sempre più frequenti e distruttivi.
La concentrazione delle piogge provocherà anche lunghi periodi di siccità, specie nelle aree tropicali, che saranno soggette a processi di desertificazione sempre più intensi, tali da mettere in crisi la sussistenza alimentare di molti popoli.
Altri eventi meteorologici che si verificheranno sempre più spesso e in modi sempre più estremi sono gli uragani. Dagli anni ‘70, il numero di quelli di categoria superiore è addirittura raddoppiato.

Per ridurre le emissioni di gas serra, ciascuno di noi può fare molto nella vita di tutti i giorni. Per esempio, è fondamentale ricordare sempre la regola delle “tre erre”: erre come ridurre gli sprechi, erre come riusare gli oggetti finché è possibile, erre come riciclare praticando la raccolta differenziata.
Inoltre, è possibile fare molto per rendere meno inquinante la propria abitazione, installando pannelli solari termici per l’acqua calda e fotovoltaici per la produzione di elettricità, oppure realizzando l’isolamento a cappotto. L’investimento economico di queste opere viene presto ripagato dal risparmio sulle bollette.
Tutto questo è molto importante, ma l’impegno individuale non basta. Per fermare i cambiamenti climatici, è necessaria un’azione collettiva, un’azione politica. Alcuni tentativi di percorrere questa strada sono già stati fatti. Nel 1992, a Rio de Janeiro, in Brasile, si è tenuto il primo Summit della Terra, dove i leader di quasi tutti i paesi del mondo si sono impegnati a ridurre le proprie emissioni di gas serra. L’accordo però è stato reso vincolante solo nel 1997, con il Protocollo di Kyoto, che prevedeva quote di riduzione diverse per paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo. Il trattato è stato fortemente voluto dall’Unione Europea, che è riuscita a coinvolgere molte nazioni, ma non Stati Uniti e Cina, ovvero i due principali inquinatori del pianeta. L’accordo è entrato in vigore nel 2005 ed è stato recentemente prorogato fino al 2020, anche se altri paesi ancora si sono ritirati. Oggi le speranze di nuove intese sono riposte nella conferenza globale sul clima che si terrà nel dicembre 2015 a Parigi.
Nel frattempo, le Nazioni Unite hanno creato un gruppo di lavoro formato da scienziati provenienti da tutto il mondo, che periodicamente pubblica uno studio sui cambiamenti climatici. Nell’ultimo rapporto, si afferma che, affinché l’aumento di temperatura rimanga sotto i due gradi, è necessario dimezzare le emissioni entro il 2050 e azzerarle entro la fine del secolo.

Insomma, la sfida che ci aspetta è molto impegnativa. Oltre al surriscaldamento globale, un’altra ragione ci spinge a ridurre le emissioni inquinanti: l’esaurimento delle risorse. Già oggi, il tasso a cui consumiamo le risorse supera della metà la capacità rigenerativa del pianeta e, in futuro, con la crescita esponenziale della popolazione, sarà molto peggio. Le conoscenze e le tecnologie per cambiare le cose ci sono già, si tratta solo di volerle applicare.
La protezione dell’ambiente non è solo il capriccio di qualche amante della natura. Noi potremmo devastare il pianeta e lui, dovesse metterci anche milioni di anni, tornerà come prima o meglio di prima. No, la natura non c’entra: qui c’è in gioco la stessa sopravvivenza della specie umana, dei nostri figli e dei nostri nipoti. Per questo è necessario agire ora.

Leggi l’articolo di approfondimento.

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Il 2014 si è rivelato per l’Ucraina l’ultima di una lunga serie di stagioni di difficili rapporti con la Russia. Dal novembre del 2013 fino ad oggi, il paese è teatro di violenti conflitti che hanno destato le attenzioni dei media, soprattutto a causa della sua posizione alle porte dell’Europa. Continua a leggere

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La notizia era filtrata da alcune settimane, ma è solo nel suo discorso del 31 dicembre che Giorgio Napolitano ha annunciato le dimissioni da presidente della Repubblica, formalizzate lo scorso 14 gennaio. Dopo essere stato sul trono del Quirinale per 9 anni, il primo ad esserci rimasto per un secondo mandato, Napolitano ha deciso di lasciare, a causa della sua avanzata età. Tra pochi giorni inizieranno le votazioni in parlamento per scegliere il suo successore. Prima di conoscere gli identikit dei candidati più papabili, vediamo quali sono i compiti del presidente della repubblica e come viene eletto. Continua a leggere

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Da alcuni anni, se chiedete alle persone quali sono i principali problemi del Paese, molte vi menzionano l’immigrazione. Pensano infatti che gli immigrati ci rubino il lavoro, delinquano e prendano più sussidi sociali degli italiani. Molti di questi luoghi comuni sono però infondati e, in generale, su questo tema c’è molta confusione. Vediamo allora di fare un po’ di chiarezza.

Secondo l’Istat, ad oggi in Italia risiedono 4,9 milioni di stranieri, a cui vanno aggiunti circa 500 mila irregolari. Insieme corrispondono al 9% della popolazione italiana. Altri paesi europei hanno valori più alti: tra questi la Spagna, il Regno Unito e la Germania.
Ciò che però ha alimentato una percezione ancora maggiore della diffusione di questo fenomeno è la fortissima crescita che ha avuto di recente nel nostro paese. Negli ultimi 15 anni, il numero di cittadini stranieri presenti in Italia è più che quadruplicato e, anche durante la crisi economica, ha continuato ad aumentare a livelli vertiginosi. Continua a leggere

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Lo Stato Islamico o “Isis”, come viene più comunemente chiamato, è un gruppo terroristico di recente formazione, attivo principalmente nei territori della Siria e dell’Iraq. Negli ultimi mesi si è fatto conoscere a livello internazionale per la brutalità delle sue operazioni e per la peculiarità dei suoi obiettivi. Scopriamoli insieme. Continua a leggere

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 VIDEO SULLA CRISI: PARTE 1PARTE 2 – PARTE 3

Negli scorsi video, abbiamo parlato della crisi economica mondiale del 2008 e della sua prosecuzione nella sola eurozona negli ultimi anni. Nell’area della moneta unica, infatti, la crisi è ancora in corso, molti paesi faticano a riprendersi, la disoccupazione resta alta, la produzione bassa. La ricetta adottata per uscire dalla recessione è quella del rigore e dell’austerità. Vediamo di cosa si tratta.

Le crisi non sono un evento raro nella storia economica. Nell’ultimo secolo ce ne sono state diverse, a partire dalla grande depressione del 1929, per uscire dalla quale il presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt varò un ambizioso piano di riforme detto “New Deal” (“nuovo corso”), che cambiò radicalmente il rapporto dello stato con l’economia. Se prima l’intervento dello stato nel sistema economico era ridotto al lumicino, ora esso ricopriva un ruolo di primo piano. Infatti, Roosevelt diede il via ad una serie di investimenti pubblici nelle infrastrutture e a diverse riforme sociali, impegnando enormi quantità di fondi pubblici, al fine di far ripartire il sistema dell’economia americana. Il “New Deal” era ispirato dalle teorie di un celebre economista, John Maynard Keynes, il quale sosteneva che, in periodi di crisi, lo stato deve aumentare la propria spesa, per sostituirsi alla diminuita domanda di beni da parte dei privati. E, per farlo, può anche accendere nuovi debiti, a patto che li ricopra in periodi di espansione economica.

In questi anni, nell’eurozona, si sta facendo esattamente l’opposto. A fronte di una delle peggiori crisi di sempre, l’Unione sta chiedendo agli stati particolarmente in difficoltà di risanare i loro bilanci, tagliando le spese. Accade questo perché la speculazione finanziaria ha preso di mira i titoli del debito di alcuni stati, riassunti dall’acronimo Piigs (“maiali”, in inglese): Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna. Questi paesi hanno corso il rischio di non riuscire più a ripagare il loro debito, perché i mercati hanno cominciato a pretendere tassi di rendimento molto alti. Anche a causa del modo in cui è strutturata l’unione monetaria e ai meccanismi dell’euro, di cui abbiamo parlato in un altro video.

Con le turbolenze finanziarie, è iniziata anche una lotta politica tra i paesi del Nord Europa, considerati virtuosi perché hanno bilanci più solidi, e quelli del Sud Europa, i cui conti sono in condizioni peggiori. A questi è stato quindi richiesto di rispettare i cosiddetti parametri di Maastricht, sanciti dall’omonimo trattato del 1992, ma raramente rispettati da qualcuno finora. Le principali regole che impongono alle finanze pubbliche sono due: una sul deficit e una sul debito.
Il deficit è la differenza tra la uscite e le entrate del bilancio statale. Naturalmente se le uscite superano le entrate, il buco viene ricoperto emettendo nuovo debito. Per questo motivo, nel trattato è stato previsto che esso non possa superare il 3% del Pil. Anche se, in passato, questo tetto non è stato rispettato nemmeno dai paesi ritenuti virtuosi. L’altro parametro riguarda il debito pubblico, che non deve oltrepassare il 60% del Pil, anche se buona parte dei paesi europei supera questa soglia. Recentemente, per applicare questa regola, è stato firmato un altro trattato, il Fiscal Compact, che prevede la riduzione a tappe forzate del debito in eccesso.

Tutte queste regole sono state definite con la convinzione che solo un’economia con i fondamentali solidi e i conti apposto possa essere competitiva nel mondo della globalizzazione e possa aspettarsi una una crescita costante nel lungo periodo.
Gli economisti di scuola keynesiana, dal canto loro, ritengono che il rapporto debito-Pil si possa abbassare soltanto agendo sul denominatore, ossia puntando sulla crescita per far salire il prodotto interno lordo, in modo che il debito in proporzione rappresenti un problema minore.
Se hanno ragione i fautori del rigore o i sostenitori di Keynes, solo il futuro potrà dircelo. Ciò che sappiamo è che la situazione è grave. Nei paesi del Sud Europa, la disoccupazione resta molto alta, l’industria è in declino e le prospettive per il futuro non sono affatto rosee. Solo con coraggiose e nette scelte politiche, potremo uscire dalla palude in cui siamo finiti.

Usciremo mai da questa crisi? Che misure andrebbero prese per rimettere in moto l’economia? Diteci cosa ne pensate nei commenti.

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